RITENUTO IN FATTO
1.1 II Tribunale di Lecce in composizione monocratica, con sentenza del 24 gennaio 2014 dichiarava (Omissis), imputato del reato di cui all’art. 256 comma 10 D. Lgs. 152/06 (illecito smaltimento di rifiuti speciali mediante incenerimento) nonché del reato di cui all’art. 674 cod. pen., colpevole del primo reato, condannandolo alla pena di € 4.000,00 di ammenda e lo assolveva, invece, dal concorrente reato di cui all’art. 674 cod. pen. perché il fatto non sussiste.
1.2 Avverso la detta sentenza ricorre il suddetto imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia deducendo, con unico motivo, manifesta illogicità della motivazione in punto di statuizione della responsabilità, tenuto conto del ridottissimo quantitativo dei rifiuti smaltiti e della circostanza che tale smaltimento era avvenuto in luogo isolato e che si era trattato di una attività del tutto occasionale e non produttiva di inquinamento dell’aria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile sia per la manifesta infondatezza e sia perché contenente censure in fatto non proponibili in sede di legittimità.
1.1 Va, anzitutto premesso che al (Omissis) è stato contestato il reato p. e p. dagli artt. 81, 674 e art. 256 comma 1 D. Lgs. 152/06 “perché, nella qualità di socio della (Omissis), proprietaria della ditta (Omissis) operante nella produzione di malte, collanti e pitture, effettuava illecitamente attività di smaltimento di rifiuti speciali (carta, plastica) rivenienti dalla suddetta attività, mediante l’incenerimento in un contenitore di ferro appositamente allocato, così provocando, in più circostanze, l’emissione di fumi maleodoranti atti a molestare le persone operanti nelle attività industriali della zona” (Reato accertato in Salice S.no 1’8 aprile 2011).
1.2 Sotto il primo profilo osserva il Collegio che il Tribunale ha ritenuto provato il fatto nella sua materialità sulla base della testimonianza di un militare dell’Arma dei Carabinieri che, intervenuto sui luoghi, aveva sorpreso il (Omissis) all’interno della azienda (Omissis) di sua pertinenza, nell’atto di smaltire rifiuti costituiti da residui di vernice, plastica e carta prodotti dalle lavorazioni e di gettarli all’interno di un cassonetto dandovi fuoco.
1.3 Il Tribunale, pur escludendo la configurabilità del reato contravvenzionale di getto pericoloso di cose per ragioni essenzialmente logistiche legate alla zona isolata in cui si trovava l’azienda del (Omissis) ed alla assenza di persone nelle vicinanze che potessero subire gli effetti dell’emissione di fumi, riteneva integrato il reato di illecito smaltimento di rifiuti mediante incenerimento.
1.4 Le ragioni enunciate nella sentenza impugnata per la inclusione della plastica, così come dei residui di vernice tra i rifiuti assoggettati alla disciplina dello smaltimento mediante autorizzazione ex art. 256 D. Lgs. 152/06 sono coerenti con le prescrizioni normative che esigono lo smaltimento corretto e che vietano la procedura della combustione mediante incenerimento (cfr. Sez. 3^ 13.1.2013 n. 48737, Di Micco, Rv. 257921).
1.5 La tesi dell’occasionalità dell’attività idonea, secondo la difesa, ad escludere il reato, non appare sorretta da alcun elemento di riscontro ed anzi dal testo della sentenza emerge la prova del contrario posto che la condotta di smaltimento si collocava all’interno di una attività imprenditoriale, perfettamente in linea con i divieti sanciti dall’art. 256 comma 1 del D. Lgs. 152/06 che sanzionano penalmente la condotta di chi effettui – tra l’altro – attività di smaltimento di rifiuti senza la prescritta autorizzazione.
1.6 Peraltro le ragioni addotte dal ricorrente a sostegno del ricorso (che in realtà sembrerebbero riferirsi piuttosto all’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 674 cod. pen. che il Tribunale ha escluso) fanno leva su una indimostrata qualità tossica delle sostanze combuste che, per come ricordato dal Tribunale, doveva ritenersi sussistente proprio per la speciale natura del rifiuto smaltito.
1.7 Stante, allora, la manifesta infondatezza del motivo e la sua genericità, il ricorso dovrebbe ritenersi inammissibile.
2. Ritiene tuttavia il Collegio di svolgere alcune riflessioni alla luce delle recenti disposizioni contenute nel D. Lgs. n. 28 del 16 marzo 2015 intitolato “Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto a norma dell’art. 1 comma 1 lett. m) della Legge 28 aprile 2014 n. 67 pubblicato nella G.U.R.I. n. 64 del 18 marzo 2015 ed entrato in vigore il 2 aprile 2015.
2.1 Va, al riguardo, specificato che il D. Lgs. in esame non contiene alcuna disciplina transitoria: in linea di principio occorrerà pertanto fare richiamo ai principi generali in tema di successione delle norme nel tempo per verificare, anzitutto, se, e in che termini, l’istituto possa applicarsi ai procedimenti in corso.
2.2 Come è noto, il comma 4° dell’art. 2 cod. pen. prevede, in caso di successione di leggi diverse nel tempo, l’applicabilità di quelle le cui disposizioni risultano più favorevoli per il reo, salva l’ipotesi della intervenuta pronuncia di sentenza irrevocabile. E’ fuor di dubbio che tra le disposizioni più favorevoli rientrino, indipendentemente da quelle concernenti in senso stretto la misura della pena, anche quelle che, attenendo ad ulteriori e diversi profili (in ipotesi, la configurabilità di una causa di punibilità), afferiscono al trattamento del reo considerato nel suo complesso.
2.3 Al principio della applicabilità della legge più favorevole si aggiunge il principio, per la verità non costituzionalizzato ma sostanzialmente visto come proiezione del principio di eguaglianza ex art. 3 comma 1° Cost., della retroattività della legge più favorevole (in contrapposizione alla regola della irretroattività della norma peggiorativa) che trova importanti antecedenti in numerose pronunce della Corte Costituzionale (vds. sentenze n. 393/2006 e 236/2011) e della Corte di Giustizia Europea (v. sent. 11.3.2008 C-420/06 Jagger e ancor più recentemente sent. 28.4.2011, C61-1 El Dridi).
2.4 Orbene, a giustificare l’applicabilità dell’istituto ai fatti pregressi tuttora sub judice non è soltanto l’esigenza deflattiva che informa l’istituto medesimo, ma anche il bisogno, avvertito dal legislatore in ossequio al concetto di proporzionalità dell’azione penale rispetto a reati di modestissimo rilievo, di evitare l’applicazione della sanzione penale per fatti di scarsissima incidenza offensiva (i cd. “fatti bagatellari”).
2.5 In aggiunta a ciò va poi considerato che la disposizione in esame va ritenuta di natura sostanziale sia per ragioni di ordine sistematico (la norma è inserita nel titolo V del codice penale che si occupa in generale della pena nei suoi vari aspetti applicativi e della sua esecuzione), sia per ragioni di carattere “formale” non disgiunte da altre di politica giudiziaria (non a caso il legislatore parla di “non punibilità” dell’autore del reato, laddove, se si fosse trattato di istituto di stampo processual-penalistico, sarebbe stato più logico parlare di “non procedibilìtà” nei confronti dell’autore del fatto-reato). Soccorre quale ulteriore ragione giustificatrice anche la circostanza che il D. Lgs. è attuativo dell’art. 1 della legge-delega n. 67 del 28 aprile 2014 intitolato “Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie”.
2.6 Ma non è tutto: militano in favore della soluzione di cui sopra, in riferimento al tema specifico concernente i giudizi ancora sub judice in sede di legittimità, anche motivi più squisitamente processuali connessi al testo dell’art. 609 comma 2 cod. proc. pen. che prevede un intervento decisorio della Corte Suprema su questioni (oltre che rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo) “che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello”.
2.7 Appare però necessario interrogarsi sugli eventuali modi e tempi di applicazione del nuovo istituto ai processi in corso nel giudizio di legittimità.
3. Il problema che si pone in questa sede è ancora più specifico in quanto si tratta di vedere se la Corte di Cassazione, di fronte ad un ricorso inammissibile per manifesta infondatezza o per aspecificità dei suoi contenuti o per altre cause enunciate nell’ultima parte dell’art. 606 cod. proc. pen., e fuori dai casi di intempestività del ricorso per la tardività della sua proposizione ovvero di ricorso sottoscritto da difensore che non sia abilitato per le magistrature superiori, possa comunque intervenire di ufficio ovvero su sollecitazione della parte interessata che abbia a prospettare per la prima volta la questione dell’ammissibilità dell’istituto in sede di legittimità per non averla potuta proporre prima per ragioni temporali legate alla data di entrata in vigore della norma favorevole successivamente alla proposizione del ricorso, procedendo alla applicazione della norma medesima.
3.1 La ragione di fondo alla base di una possibile soluzione negativa, come ricordato di recente dalla Relazione 111/02/15 del 23 aprile 2015 redatta a cura dell’Ufficio del Massimario, ma come ripetutamente affermato in passato da numerose decisioni di questa Corte Suprema (vds. tra le tante, S.U. 22.1.2000 n. 32, De Luca, Rv. 217266; Sez. 4″ 20.1.2004 n. 18641, Tricorni, Rv. 228349 in cui si afferma l’impossibilità di rilevare e dichiarare cause di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen. quando esse siano maturate successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso e Sez. 2^ 8.5.2013 n. 28848, Ciaffoni, Rv. 256463 in cui afferma l’impossibilità di dichiarare la non punibilità per cause maturate nelle more del giudizio di legittimità), risiede nel fatto che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione.
3.2 Tuttavia di recente le Sezioni Unite di questa Corte Suprema sono state investite della questione in ordine alla possibilità di rilevare di ufficio in sede di legittimità, anche in presenza di ricorso manifestamente infondato e che non sollevi censure in ordine al trattamento sanzionatorio, gli effetti delle modifiche normative intervenute con riguardo al regime della pena riguardante la fattispecie autonoma di cui al comma 5° dell’art. 73 D.P.R. 309/90, anche nei casi in cui detta pena non risulti illegale in quanto rientrante nella cornice edittale della previgente disciplina come ripristinata per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 32/14. (Ord. Sez. 3^ 17.3.2015 Della Fazia).
3.3 Solo una eventuale abolitio criminis quale effetto dello jus superveniens potrebbe giustificare un intervento della Corte in termini di eventuale declaratoria di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen., come tale rilevabile anche davanti al giudice dell’esecuzione ex art. 673 cod. proc. pen., anche se occorre evidenziare – come segnalato nella citata Relazione dell’Ufficio del Massimario – che non risultano precedenti decisioni in materia che abbiano affermato il verificarsi di una abolitio criminis nel caso di entrata in vigore di una disposizione che preveda una nuova causa di non punibilità.
3.4 Un precedente in materia potrebbe rinvenirsi, come ricordato nella Relazione suddetta, in alcune decisioni della S.C. emesse in materia di reati previsti dal D.P.R. 309/90 laddove si trattava di condanne irrogate per la detenzione di droga per uso personale prima del venir meno della punibilità in conseguenza del referendum abrogativo del 1993, in cui si era affermata la riconducibilità degli effetti del referendum al fenomeno della abolitio criminis, rilevante ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., (cfr., specialmente, Sez. VI, 13 aprile 1994, n. 1542, Rosati, Rv. 199422 nella quale si è tra l’altro, affermato che “L’effetto abrogativo del d.P.R. 5 giugno 1993, n. 171 – che ha concluso la procedura referendaria diretta all’abrogazione di talune norme del testo unico in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope approvato con il d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 – ha comportato, rispetto alla detenzione di sostanze stupefacenti e psicotrope per uso personale, una vera e propria “abolitio criminis”, quale prevista dall’art. 2, secondo comma, cod. pen. e rilevante ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., una norma che opera non soltanto quando una fattispecie legale criminosa nel suo complesso sia eliminata dal sistema penale, ma anche quando venga resa inapplicabile la norma incriminatrice in uno dei casi che, in precedenza, rientravano nell’area dei fatti penalmente sanzionati come reati.”.
3.5 Sembrerebbe tuttavia problematica la possibilità di revoca in fase esecutiva della sentenza di condanna per abolitio criminis in conseguenza di una sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, perché in realtà non si verserebbe in una tipica ipotesi di abrogazione della norma punitiva ma di una lex mitior che ne tempera gli effetti pur definendo il giudizio in termini di non punibilità.
3.6 Del resto l’art. 2 comma 2° cod. pen. cui solitamente si fa ricorso nella fase dell’esecuzione per gli effetti preveduti dall’art. 673 comma 1 cod. proc. pen. recita testualmente che “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali” .
3.7 Del pari, l’art. 673 comma 1° cod. proc. pen. prevede che “Nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti”.
4. Nel caso disciplinato dall’art. 131 bis cod. pen. il fatto viene pur sempre qualificato come “reato” (si richiamano i contenuti dell’art. 651 bis cod. proc. pen. dianzi esposti e l’imputato viene dichiarato “non punibile”.
4.1 Tali considerazioni, al di là quindi della possibilità di un intervento della Corte Suprema (sia d’ufficio che su sollecitazione della parte) a fronte di ricorso inammissibile, renderebbero ulteriormente problematica l’ipotesi che, per effetto della nuova disciplina contemplata dall’art. 131 bis cod. pen., possa in fase esecutiva procedersi alla revoca di una condanna perché “il fatto non è previsto dalla legge come reato”.
5. Ma laddove tale eventualità fosse possibile, si tratta di vedere in che termini la Corte di legittimità, una volta superato l’ostacolo della preclusione derivante dalla inammissibilità del ricorso, possa procedere alla valutazione dell’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen., posto che non è da escludere in linea di principio che l’imputato manifesti un interesse specifico a fruire di tale istituto pur con quelle conseguenze sul piano civilistico o amministrativo di cui si è detto. Si tratterà, allora, di valutare la consistenza o meno di tale interesse alla luce di quelle conseguenze sul piano della ipotetica revoca della sentenza conseguente ad una pronuncia di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen.
6. Ricordato che i limiti connaturati alla natura del giudizio di legittimità rendono più problematica la soluzione (o le soluzioni alternative) da adottare, non va, nemmeno dimenticato che l’applicabilità dell’istituto nei giudizi di legittimità implicherebbe comunque delle valutazioni di merito connaturate alla natura dell’istituto di nuova creazione, non disgiunte dalla necessità che ai vari soggetti interessati sia offerta la possibilità di interloquire.Si tratta allora di vedere in che modo ed in che limiti sia possibile operare una verifica in ordine alla sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto.
6.1 L’unico precedente in termini si rinviene nella recentissima pronuncia di questa Sezione secondo la quale, in caso di valutazione positiva, la Suprema Corte può pronunciare l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito affinchè valuti se dichiarare il fatto non punibile ovvero, in determinate condizioni, ad un annullamento senza rinvio (Sez. 3^ 8.4.2015 n. 15449, Mazzarotto, non massimata).
6.2 La delicatezza dell’argomento impone però una serie di riflessioni circa gli eventuali limiti di natura sostanziale e processuale che la Corte di Cassazione può incontrare laddove venga sollecitata per la prima volta ad intervenire sull’applicabilità dell’istituto, ovvero se sia possibile un intervento ex officio.
7. Nella recentissima relazione redatta dall’Ufficio del Massimario di questa Corte Suprema n. 111/02/15 del 23 aprile 2015, costituente un utile punto di riferimento e di riflessione, si è, ad esempio, ritenuta possibile tale eventualità <<specie se si ritenga l’art. 129 cod. proc. pen. “regola di condotta” e non fonte di situazioni potestative>> in forza dell’art. 620 comma 1 lett. l) cod. proc. pen. che prevede la possibilità di pronunciare una sentenza di annullamento senza rinvio “in ogni altro caso in cui la Corte ritiene superfluo il rinvio” (in tal senso v. S.U. 30.10.2003, n. 45276, Andreotti, Rv. 226100, in cui si sono positivamente valutate esigenze di economia processuale; v. anche S.U., 21.5.2003 n. 22327, Carnevale, Rv. 224181, con la quale è stato affermato il potere di annullare senza rinvio la sentenza impugnata per insussistenza del fatto, per addivenire a pronuncia di annullamento senza rinvio perché il fatto non sussiste).
7.1 Così come è stato sottolineato in tale relazione che, indipendentemente dal richiamo all’art. 129 cod. proc. pen. si deve ritenere ammissibile un annullamento della sentenza impugnata per essere l’imputato “non punibile”, come affermato da Sez. 6^ 26.4.2012 n. 17065, Cirillo Rv. 252506 in riferimento alla sopravvenuta causa di non punibilità del favoreggiamento personale ex art. 478 cod. pen. per effetto della ritrattazione di cui all’art. 376 cod. pen.: la Corte, infatti, dopo aver preso atto della sussistenza dei presupposti fattuali per la dichiarazione dell’esistenza della causa di non punibilità come desumibili dal testo della sentenza impugnata, ha osservato che: “Poiché la novità normativa è certo più favorevole per l’imputato, la stessa va applicata ai sensi degli artt. 2.4 c.p. e 609.2 c.p.p.”.
7.2 Ma va anche doverosamente fatto cenno di soluzioni negative adottate dalla giurisprudenza di legittimità, ancorchè riferite al processo penale dinnanzi al giudice di pace penale: e’ stata così esclusa l’applicabilità della disposizione transitoria di cui all’art. 63 comma 1 D. Lgs. 274/2000 in riferimento allo “jus superveniens” relativo ai reati di competenza del giudice di pace laddove debba essere pronunciata la procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto (art. 34 d.lgs. cit.) e di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie (art. 35 d.lgs. cit.), affermandosi che “La norma transitoria di cui all’art. 63 comma primo del D.Lgs. 28/8/2000 n. 274 in materia di competenza penale del giudice di pace (che prevede l’applicabilità, anche nei giudizi davanti a un giudice diverso, delle disposizioni circa l’esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto, e della non punibilità in caso di risarcimento) non trova applicazione in Cassazione, atteso che il presupposto processuale della norma in argomento, l’intervento personale degli interessati, non è attuabile nel giudizio di legittimità” (Sez. 5^ 23.5.2002 n. 25063, Rufolo ed altri, Rv. 222063).
7.3 Tale precedente però non si ritiene pregiudizialmente ostativo alla soluzione positiva di cui si è fatto cenno tenuto conto delle differenze non certo trascurabili intercorrenti tra la non punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen. e la similare figura della non punibilità per lieve tenuità del fatto e della non procedibilità per avvenuto risarcimento di cui agli artt. 34 e 35 del D. Lgs. 274/2000: mentre la prima è costruita quale norma di diritto sostanziale, le altre figure sono, per espressa volontà legislativa, disegnate come condizioni di improcedibilità ed esigono comunque, una volta che sia stata esercitata l’azione penale, la non opposizione di imputato e persona offesa così come previsto dall’art. 34, comma 3, D.Lgs. n. 274/2000.
7.4 Del tutto diverse le condizioni previste per l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 131- bis cod. pen., in quanto nell’ipotesi di pronuncia di sentenza pre-dibattimentale, per effetto dell’art. 469 comma 1 bis cod. proc. come innovato dal D. Lgs. 28/15, la persona offesa deve essere semplicemente sentita “se compare”; così come, in caso di sentenza emessa all’esito di dibattimento o di giudizio abbreviato, non solo non è prevista la non opposizione dell’indagato e della persona offesa, ma non è nemmeno previsto il compimento di specifici adempimenti procedi mentali.
8. Si è già detto che trattandosi di istituto di immediata applicazione ex art. 2 comma 4° cod. pen., appare in linea di principio possibile la rilevabilità di ufficio per quei ricorsi depositati prima dell’entrata in vigore del D.Igs. n. 28 del 2015, in forza del combinato disposto dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen. e dell’art. 2, comma 4°, cod. pen. (vds. in questo senso Sez. 6^ 17065/12 e Sez. 3^ 15449/15 cit.).
13. Quanto, invece, ai limiti che la Corte di Cassazione può incontrare nell’operazione (che parrebbe ineludibile) di verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle nuove disposizioni entrate in vigore nelle more del giudizio di legittimità, è lecito domandarsi se la Corte debba limitarsi ad una verifica sia pure astratta sulla base delle emergenze rilevabili dalla sentenza impugnata ovvero se possa – o debba – adottare una pronuncia di annullamento e con quale formula.
13.1 Trattasi di una questione nuova strettamente collegata alla particolare natura dell’istituto che impone alla parte che vi abbia interesse l’onere di dimostrare la sussistenza dei relativi presupposti mediante l’indicazione di elementi specifici (vds. Sez. VI, 25 novembre 2014, n. 1401, Vigneri, Rv. 262054).
13.2 Alla possibilità di un annullamento con rinvio nel caso di positiva verifica della sussistenza delle condizioni legittimanti l’applicabilità dell’istituto fa esplicito riferimento la più volte ricordata Sez. 3″ 15449/15 nella quale si è evidenziato che “l’applicabilità dell’art. 131- bis cod. pen. presuppone valutazioni di merito, oltre che la necessaria interlocuzione dei soggetti interessati. Da ciò consegue che, nel giudizio di legittimità, dovrà preventivamente verificarsi la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto, procedendo poi, in caso di valutazione positiva, all’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito affinché valuti se dichiarare il fatto non punibile Nell’effettuare tale apprezzamento, il giudice di legittimità non potrà che basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di merito tenendo conto, in modo particolare, della eventuale presenza, nella motivazione del provvedimento impugnato, di giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto, riguardando, la non punibilità, soltanto quei comportamenti (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati risultino di così modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale”.
13.3 In concreto la decisione in esame ha ritenuto inapplicabile l’istituto sulla base di una verifica con esiti negativi in ordine alla configurabilità dei presupposti per l’applicazione dell’istituto in questione.
13.4 Ma sul punto non possono che insorgere difficoltà interpretative in quanto la soluzione adottata con tale decisione implicherebbe non solo – come pare ovvio – una valutazione da parte della Corte di legittimità sulla concreta applicabilità dell’istituto ma soprattutto, aprirebbe la strada a decisioni tranchant di rigetto (ovvero di annullamento senza rinvio) da parte di un giudice di legittimità che non avrebbe il potere di assumere decisioni comportanti una pregiudiziale analisi di questioni di merito.
13.5 Sembrerebbe, allora, più corretto procedere attraverso un percorso che includa, anzitutto, una valutazione in termini meramente astratti e con indicazione di linee guida di tipo interpretativo da valere per il giudice di merito, circa l’applicabilità dell’istituto e l’esame della meritevolezza della causa di non punibilità e, di seguito, una pronuncia di annullamento sempre e solo con rinvio, lasciando poi al giudice di merito il compito di valutare in concreto la praticabilità della soluzione invocata dalla parte che vi ha interesse.
13.6 In coerenza con tali postulati, laddove fosse possibile intravedere epiloghi favorevoli per il ricorrente sulla base delle prospettazioni contenute nel ricorso ovvero ancora quando da parte del ricorrente tali condizioni vengano prospettate con apposita memoria ex art. 121 cod. proc. pen. o persino in sede di discussione orale, attraverso l’indicazione o allegazione di circostanze che non potute provare prima per ragioni di ordine temporale legate ai tempi di entrata in vigore della nuova disposizione, ove accertate potrebbero risultare idonee a giustificare l’operatività del nuovo istituto, potrebbe essere possibile una restituzione in termini delle parti dinanzi ai giudici di merito per l’articolazione di attività istruttorie. (vds. su tale specifico punto la relazione 111/02/15 del Massimario, cit.)
13.7 Così come ove il ricorrente invocasse la causa di non punibilità sulla base degli elementi già emergenti dalla decisione censurata, sarebbe percorribile la strada dell’annullamento con rinvio, ferma restando la necessità da parte del giudice di legittimità di indicare i criteri informatori per il giudice di rinvio utili per decidere l’applicabilità, o meno, dell’istituto.
13.8 E’ solo attraverso tale strada che sarà poi possibile valutare la correttezza e completezza del ragionamento del giudice di rinvio e procedere secondo i consueti canoni previsti per il ricorso in sede di legittimità laddove tali criteri ermeneutici non venissero rispettati. Sembrerebbe così da escludere, in linea di principio, l’ipotesi di un annullamento senza rinvio.
14. Ma, quale che sia la soluzione adottabile, quel che appare certa è la necessità di un riferimento in concreto al contenuto della motivazione del provvedimento impugnato: allo stato degli atti le due soluzioni estreme tra loro contrapposte di verifica negativa circa la sussistenza dei presupposti legittimanti l’applicabilità dell’istituto (che dovrebbe preludere ad un rigetto della istanza e del ricorso ovvero alla inammissibilità) e, in alternativa, di verifica positiva (che dovrebbe preludere ad un annullamento senza rinvio) sembrerebbero non praticabili non solo per i ricordati limiti di valutazione che caratterizzano l’operato del giudice di legittimità, ma anche per quell’esigenza di rispetto del contraddittorio che esige una interlocuzione della persona offesa che non appare essere adeguatamente assicurata nel giudizio di legittimità, anche perché essa presupporrebbe comunque una valutazione di merito inibita nel giudizio di cassazione.
14.1 La strada dell’annullamento con rinvio sembrerebbe la più agevole e coerente con le regole fin qui enunciate, anche per quelle ipotesi in cui dall’esame della sentenza oggetto di ricorso, tutte le condizioni di applicabilità dell’istituto siano rilevabili in astratto, essendo comunque opportuno quell’intervento del giudice di merito volto ad approfondire la verifica secondo una previsione in termini di ragionevolezza, eventualmente anche alla luce delle prospettazioni delle parti.
15. Questione strettamente connessa è quella relativa all’analisi dei parametri cui la Corte di Cassazione – qualora ritenesse il ricorso ammissibile – dovrebbe rifarsi al fine di valutare la meritevolezza necessaria per l’applicabilità dell’istituto. Soccorre, in tal senso, il riferimento al testo dell’art. 131 bis cod. pen.
15.1 La prima valutazione da compiere è legata alla tipologia del reato in relazione alla pena detentiva edittale massima prevista che non deve superare, sola o congiunta a quella pecuniaria, il limite dei cinque anni. E non appare superfluo sottolineare che i criteri da seguire per la determinazione della pena come operazione di valutazione “prioritaria” sono contenuti nel comma 4 dell’art. 131 bis cod. pen., il quale precisa che “non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale” aggiungendo che in quest’ultimo caso “ai fini dell’applicazione del primo comma, non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’articolo 69 mentre il successivo comma specifica che la non punibilità si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.
15.2 Altro dato che entra in modo pressochè esclusivo nel processo di valutazione è quello legato: a) alle modalità della condotta; b) all’esiguità del danno o del pericolo. Si tratta di quelli che la relazione allegata allo schema di decreto attuativo indica come “indici-requisiti” da valutarsi alla stregua dei criteri indicati dall’art. 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensità del dolo o grado della colpa). A tali “indici-requisiti” si affiancano quelli che la stessa relazione definisce “indici-criteri” costituiti da: 1) la particolare tenuità dell’offesa; 2) la non abitualità del comportamento (per un riferimento agli indici v. oltre a Sez. 3^ 15449/15 cit., anche il testo della relazione al decreto delegato).
15.3 In estrema sintesi, il giudice è chiamato ad effettuare una specifica valutazione di meritevolezza verificando se sulla base dei due “indici-requisiti” (modalità della condotta ed esiguità del danno e del pericolo, valutati congiuntamente secondo i criteri direttivi di cui all’art. 133 comma 1° cod. pen.), sussistano i due indici-criterio (particolare tenuità dell’offesa e non abitualità del comportamento). L’esito positivo di tale operazione consentirà al giudice di considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.
15.4 L’apparente semplicità di tali operazioni si scontra, però, con un testo che oltre a profilarsi non particolarmente specifico, può indurre alcune perplessità.
16. Anzitutto è da rilevare che si tratta, proprio perché entrano in gioco numerosi dati che debbono tra loro incrociarsi, di un giudizio complesso in cui muovendo dalla premessa che a dover essere analizzato è non tanto e non solo il reato, quanto il comportamento del reo (e dunque la condotta), deve anche tenersi presente la differenza che intercorre tra irrilevanza del fatto ed inoffensività del fatto: in quest’ultimo caso, in realtà ci si trova di fronte ad un non reato (art. 49 comma 2° cod. pen.), mentre l’aspetto della irrilevanza attiene più propriamente ad un giudizio di valore che presuppone l’esistenza di un fatto-reato ed il livello di offensività misurato in rapporto alla abitualità del comportamento ed alle modalità della condotta.
16.1 Sul versante dell’irrilevanza del fatto non vi sono preclusioni di principio posto che nessuna distinzione viene fatta tra reato di evento e di danno e reati di pericolo (nella duplice forma di pericolo astratto o pericolo concreto).
16.2 Quanto alla valutazione della esiguità del danno o del pericolo appare evidente la necessità di un giudizio esprimibile sulla base di dati oggettivi e non sulla base di elementi di tipo soggettivo, ferma restando l’esigenza che si tratti di un giudizio globale che porti alla conclusione di un fatto estremamente modesto sia in oggettivamente che soggettivamente (v. Sez. 5″ 2.12.2004 n. 7573, Subramanian, Rv. 230811; conformi Sez. 4″ 15.2.2005 n. 15374, Orengo, Rv. 231549; idem, 7.7.2004 n. 40203, P.G. in proc. Misantoni, Rv. 229574, tutte in tema di giudizi espressi su fatti-reato di competenza del giudice di pace).
16.3 Il legislatore ha rinunciato a scelte di tipo pregiudiziale – tranne le ipotesi espressamente disciplinate nel comma 2 – ostative alla ammissibilità dell’istituto, ponendo comunque l’accento su quello – tra i vari indici – dell’abitualità (o non abitualità secondo l’angolo visuale di osservazione) del comportamento.
16.4 Ma è proprio questo profilo a presentare alcuni problemi interpretativi in tema di valutazione della non abitualità del comportamento che, a differenza della “non occasionalità” utilizzata nel d. Lgs. 274/2000 (ma anche nel D.P.R. 448/1988), dovrebbe essere riguardata in stretta correlazione con il comma 3° dell’art. 131 bis che parrebbe riferirsi alla definizione del comportamento abituale. In altri termini, per potersi ragionevolmente parlare di comportamento non abituale come ipotesi positivamente apprezzabile al fine dell’applicazione dell’istituto, non si deve trattare di una delle condotte incluse nel menzionato comma 3°, anche se rimane da vedere se le classificazioni indicate nel testo siano da considerarsi tassative o soltanto enunciative.
16.5 A titolo meramente orientativo andranno valutati anche i precedenti “giudiziari” e non solo quelli sfociati in pronunce irrevocabili, mentre andrà valutata caso per caso l’incidenza di un precedente non della stessa indole (che in sé non dovrebbe assumere portata decisiva in termini negativi, così come i precedenti giudiziari per fatti non della stessa indole). Per converso, sembrerebbero costituire un serio ostacolo all’applicabilità dell’istituto i reati cd. “permanenti” (si pensi ai reati ambientali, paesaggistici o urbanistici) o “abituali” (si pensi al delitto di maltrattamenti in famiglia) e quelli unificati sotto il vincolo della continuazione in cui entrano in gioco condotte ripetute o plurime che, per esplicita voluntas legis impediscono di beneficiare dell’istituto (per tali rilievi vds. gli interessanti spunti orientativi contenuti nelle linee guida diramate dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano con propria circolare del 3 aprile 2015 e in quelli contenuti in altra similare circolare diramata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento).
16.6 Problemi specifici possono sorgere in merito ai reati ambientali tra i quali rientra la contravvenzione oggetto del ricorso.
16.7 Nel caso in esame è lo stesso Tribunale a parlare di un quantitativo di rifiuti non consistente anche se viene contestualmente espresso un giudizio di pericolosità che, però, in linea di principio non è ostativo alla applicabilità della norma di favore. E non vi è dubbio che, per quanto è dato leggere nella sentenza non risulta una pluralità di condotte e nemmeno una abitualità di esse.
17. In conclusione, e con riferimento al profilo concernente la fase processuale del giudizio di legittimità, la complessità della valutazione (che esige un giudizio globale collegato anche al tipo di reati da prendere di volta in volta in considerazione nella loro struttura intrinseca) importerebbe sempre un giudizio di merito, impossibile da esprimere da parte della Corte di Cassazione che deve, invece – quanto meno allo stato attuale – indicare criteri di massima al giudice di merito cui informare una futura decisione sulla meritevolezza ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità, sulla base delle allegazioni dell’imputato e nel rispetto del contraddittorio con gli altri protagonisti processuali.
17.1 Le questioni nuove dianzi enunciate, per l’importanza che assumono nell’economia generale del processo – in stretto riferimento alle questioni di diritto intertemporale – esigono un intervento risolutore della Suprema Corte nella sua espressione più autorevole al fine di indicare, anzitutto, se in sede di legittimità di fronte a ricorso inammissibile per manifesta infondatezza possa essere consentito alla Corte di Cassazione di valutare, anche d’ufficio, l’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. introdotto dall’art. 1 comma 2 del D. Lgs. 16.3.2015 n. 28, successivamente alla proposizione del ricorso; inoltre, se rientri nei poteri della Corte di Cassazione la valutazione di meritevolezza ed in quali termini ai fini dell’applicabilità dell’istituto e se tale giudizio debba in ogni caso essere espresso attraverso un annullamento con rinvio della sentenza impugnata, ovvero possa farsi luogo ad un annullamento senza rinvio.
P.Q.M.
Dispone la rimessione del ricorso di cui in premessa alle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione.
Così deciso in Roma il 7 maggio 2015