Cassazione penale – sezione prima – sentenza n. 19593 del 28 gennaio 2015

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RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza del 13 novembre 2013, la corte di appello di Potenza, in funzione di giudice dell’esecuzione, accoglieva l’istanza presentata da (Omissis), diretta ad ottenere l’applicazione della disciplina del reato continuato in executivis, in relazione a:

A) sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Nola il 12/6/2007, irrevocabile il 6/11/2008, di condanna a anni due mesi sei di reclusione per i reati di associazione per delinquere ed altro, commessi fino al 20 ottobre 2006;

B) sentenza emessa dal Tribunale monocratico di Napoli il 13/12/2010, irrevocabile 12/4/2011, di condanna a anni uno mesi otto di reclusione euro 500 di multa per i reati di ricettazione ed altro commessi fino al 16/9/1977;

C) sentenza emessa dal Tribunale monocratico di Napoli il 13/7/2012, irrevocabile il 2/1/2013, di condanna alla pena di anni due di reclusione ed euro 700 di multa per il reato di ricettazione, commesso fino al 30/8/2006;

D) sentenza emessa dalla Corte di appello di Potenza il 20/1/2012, irrevocabile il 19/3/2013, di condanna alla pena di anni tre mesi otto di reclusione ed euro 800 di multa per i reati di ricettazione ed altro, commessi fino al 25/1/2007.

2. Richiamati i principi enunciati in tema di continuazione dalla giurisprudenza di legittimità, ravvisata tra tutti i fatti l’identità del disegno criminoso, la citata corte riteneva violazione più grave quella giudicata con la sentenza sub-D) con cui era stata inflitta la pena di anni tre e mesi otto di reclusione ed euro 800 di multa e, sull’assunto dell’irrilevanza del trattamento sanzionatorio originariamente previsto per i cosiddetti reati satellite, procedeva ad una nuova determinazione degli aumenti per la continuazione aumentando la pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed euro 400 di multa “per ciascuno dei quattro episodi (uno interno già riconosciuto nella sentenza del 20 gennaio 2012 e tre esterni)” in relazione alle sentenze residue. Determinava quindi la pena in anni sei mesi sei di reclusione ed euro 1733,33 di multa.

4. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, ed il Procuratore generale della Repubblica di Potenza.

4.1. Con un primo motivo il condannato deduce violazione di legge per aver il giudice dell’esecuzione violato il disposto dell’art. 671, comma 2, codice di rito irrogando una pena maggiore della somma di quelle inflitte con ciascuna delle sentenze di condanna esaminate, senza motivare in relazione agli aumenti applicati a titolo di continuazione. Inoltre, aveva trascurato che:

– la sentenza emessa il 13/7/2012 dal Tribunale di Napoli aveva riconosciuto il vincolo con quella dello stesso Tribunale del 13/12/2010 ed unificato le condanne;

– la sentenza della Corte di appello di Potenza del 20/1/2012 aveva assorbito quella del GUP del Tribunale di Nola (la continuazione era stata riconosciuta dal nella sentenza del GUP di Melfi) e, anziché come richiesto di procedere alla unificazione dei due gruppi di sentenze, aveva effettuato un autonomo ricalcolo delle pene inflitte in continuazione, procedendo ad un aumento a tale titolo anche della pena determinata dal giudice della cognizione.

4.2. Anche il procuratore generale della Repubblica di Potenza deduce la violazione dell’art. 671, comma 2, codice di rito negli stessi termini del difensore della condannata.

Il Procuratore Generale presso questa Corte, ritenuta la fondatezza dei ricorsi, ha chiesto di annullare l’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono fondati e l’ordinanza impugnata, ponendosi in palese contrasto con quanto previsto dall’art. 671, comma 2, codice di rito, va annullata. Funzione della continuazione è quella di mitigare la pena inflitta con separate sentenze essendosi ritenuta meritevole di più benevolo trattamento sanzionatorio la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anziché di spinte criminose indipendenti e reiterate. Coerentemente la norma che ha riconosciuto l’applicabilità della continuazione anche in sede esecutiva, laddove la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione, pone come limite che la pena che consegue dall’applicazione della continuazione in executivis non sia “superiore alla somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza”. Va sul punto richiamato il principio già espresso da questo Collegio secondo cui “il limite rappresentato dalla pena complessiva inflitta in sede di cognizione da ciascuna singola sentenza per tutti i fatti dalla stessa giudicati, destinati ad assumere il ruolo di reati satellite nella nuova rideterminazione del trattamento sanzionatorio globale, operata in sede esecutiva ex art. 81 capoverso cod. pen. con riguardo alle violazioni giudicate con più sentenze irrevocabili di condanna, non possa essere in ogni caso superato dal giudice dell’esecuzione investito della richiesta formulata dall’interessato ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., per la decisiva ragione che la natura di istituto favorevole al reo della disciplina della continuazione può giustificare il superamento in executivis del giudicato sulla misura della pena irrogata da ogni singola sentenza, soltanto a vantaggio, e non in pregiudizio, del condannato, al quale è in definitiva demandata l’individuazione dei titoli di condanna relativi ai reati che egli ha interesse a includere nella richiesta di riconoscimento della continuazione, sulla base di una valutazione fondata sulla legittima aspettativa dell’intangibilità – in peius – del giudicato formatosi sul trattamento sanzionatorio inflitto in forza delle sentenze di condanna in concreto sottoposte al vaglio del giudice dell’esecuzione” (Sez. 1, Sentenza n. 44240 del 2014).

L’applicazione di questi incontroversi principi al caso di specie dimostra l’errore in cui è incorsa la Corte di appello di Potenza, avendo applicato autonomi aumenti in continuazione relativamente a sentenze per cui la continuazione era stata già riconosciuta e valutata dal giudice della cognizione nella determinazione della pena finale, e così giungendo ad un risultato pregiudizievole per il condannato in violazione della regola di cui all’art. 671, comma 2, cod. proc. pen. perché, a fronte di una pena complessiva, derivante dalla sommatoria materiale delle pene irrogate con ciascuna sentenza, pari ad anni cinque e mesi otto di reclusione ed euro 1500 di multa, ha irrogato una pena superiore a detta sommatoria.

P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata relativamente alla determinazione della pena e rinvia per nuovo esame sul punto alla corte di appello di Potenza.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2015

Il Consigliere estensore

 

 

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