Qui di seguito la motivazione integrale della sentenza della Corte di Cassazione civile sez. III 27 agosto 2014 n. 18312
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente – Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere – Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere – Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere – Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere – ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 20501/2008 proposto da: D.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 80, presso lo studio dell’avvocato MALARA ANTONIO, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso; – ricorrente – contro O.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO DI DONO 3/A, presso lo studio dell’avvocato MOZZI VINCENZO, rappresentato e difeso dall’avvocato TEDESCO GIORGIO giusta procura in calce al controricorso; – controricorrente – e contro ZETAFLOR DI BENITO MICHELOTTI & C SNC, O.A., FALL V. A.; – intimati – avverso la sentenza n. 797/2007 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI SEZ.DIST. DI SASSARI, depositata il 18/12/2007 r.g.n. 276/2004; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/04/2014 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO; udito l’Avvocato GIORGIO TEDESCO; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del 1 – 2 – 5 motivo di ricorso, accoglimento p.q.r. del 3 e del 4 motivo.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 16.2.2002, dopo la vendita forzata di un immobile e dopo l’emissione del relativo decreto di trasferimento, O.M. proponeva opposizione avverso il decreto di trasferimento emesso in data 23.1.2002, n.221 del 2002, nelle procedure esecutive immobiliari riunite n. 12 del 1985 e n.73 del 1998, sostenendo di essere proprietario al 50% dell’immobile oggetto di pignoramento e venduto, appartenente per l’altra metà al padre O.A..
Conveniva in giudizio V.A., creditore procedente nei confronti del padre nella procedura esecutiva n. 12 del 1985, gli altri creditori intervenuti in quella sede, nonchè l’aggiudicataria dell’immobile, D.D..
Esponeva che il V. aveva agito in executivis contro suo padre, O.A., (dando avvio alla procedura esecutiva n. 12 del 1985) sottoponendo a pignoramento la quota di un mezzo di proprietà di questi di un immobile in Comune di (OMISSIS).
Autonomo procedimento esecutivo (recante il n. 73 del 1998) era poi stato introdotto nei suoi confronti da Banca di Roma s.p.a., che aveva pignorato l’altra metà del cespite.
Le due procedure erano state riunite. Peraltro, in riferimento alla procedura esecutiva che lo riguardava, l’Istituto, unico creditore munito di titolo contro di lui, aveva successivamente rinunciato agli atti del giudizio, di talchè il procedimento avrebbe dovuto essere dichiarato estinto fin dal 1999.
Sosteneva di non aver avuto alcun avviso, dovutogli ai sensi dell’art. 599 c.p.c., quale proprietario di una quota ideale del bene sottoposto all’esecuzione, in relazione alla procedura esecutiva a carico del padre finchè aveva appreso della avvenuta emissione del decreto di trasferimento relativo alla proprietà dell’intero immobile.
Chiedeva in primo luogo che si dichiarasse la nullità dell’ordinanza di vendita con la quale era stato messo all’asta l’intero immobile e di tutta la fase successiva, incluso il decreto di trasferimento. In via subordinata chiedeva la ripetizione degli atti nulli, per consentirgli di prendere parte alla procedura ovvero in ulteriore subordine la dichiarazione di illegittimità del trasferimento, con condanna al risarcimento dei danni.
A seguito del fallimento di V.A. il giudizio veniva dichiarato interrotto. Nella causa riassunta la curatela rimaneva contumace.
Il Tribunale di Sassari qualificava l’opposizione proposta dall’ O. come in parte opposizione di terzo, tardiva perchè intervenuta dopo la vendita del bene, ed in parte opposizione agli atti esecutivi e le rigettava entrambe. In particolare, rigettava l’opposizione di terzo anche rispetto alla pretesa, astrattamente ipotizzabile, di poter godere dell’assegnazione di parte della somma ricavata dalla vendita forzata, non avendo l’ O. provato nè il titolo della proprietà prò quota del bene e neppure indicato la quota esatta della quale sarebbe stato proprietario.
O.M. proponeva appello, e la Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con la sentenza impugnata in primo luogo dichiarava inammissibile l’appello nella parte in cui i motivi proposti si riferivano alla proposta opposizione agli atti esecutivi, non suscettibile di un secondo grado di merito.
Riqualificava per il resto l’opposizione proposta dall’ O. come opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., anzichè come opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., e ricostruiva i fatti intercorsi nel modo che segue, allo scopo di motivare e giustificare la diversa qualificazione dell’opposizione:
– esistevano due distinte procedure esecutive, da tempo riunite, una a carico di O. padre (la n. 12/85) e una a carico di O. figlio (la n. 73/98);
– le due procedure erano state riunite, essendo stato aggredito un unico bene immobile, tuttavia ciò non comportava che esse fossero divenute una cosa sola, ma soltanto che esse dovessero procedere parallelamente;
– nella procedura a carico di O. figlio, avendo l’unico creditore procedente rinunciato agli atti, il giudice avrebbe dovuto disporre la cancellazione del pignoramento e l’estinzione dell’esecuzione e invece non lo aveva fatto;
– l’appellante O.M. non poteva essere ritenuto terzo opponente, atteso che i due pignoramenti avevano colpito due distinte quote indivise della stesso bene, e che, l’istanza di vendita nella procedura n. 12/85 (l’unica istanza di vendita esistente, in conseguenza della quale il g.e. aveva disposto ed eseguito la vendita dell’intero immobile) riguardava solo la quota di proprietà di O. padre.
La corte d’appello affermava quindi che l’opposizione proposta dovesse essere qualificata come opposizione all’esecuzione, in quanto ciò che contestava l’appellante era che fosse stata venduta, in una procedura esecutiva promossa a carico del padre, anche la quota del bene che era di sua esclusiva proprietà (quindi il diritto a procedere all’esecuzione nei suoi confronti in mancanza di titolo).
Così riqualificata la domanda, la corte di merito affermava che l’art. 2929 c.c., tutela l’aggiudicatario in caso di nullità degli atti esecutivi precedenti la vendita o l’assegnazione, ma soltanto l’aggiudicatario di buona fede, non potendo l’aggiudicatario che fosse a conoscenza dei vizi del procedimento che avessero portato all’aggiudicazione di un determinato bene in suo favore godere della stabilità dell’acquisto conseguente all’emissione del decreto di trasferimento. Sosteneva che anche all’aggiudicatario in sede di vendita forzata si applichi il dovere di diligenza di cui all’art. 1175 c.c., che egli abbia il dovere di accedere preliminarmente agli atti della procedura esecutiva e che non possa pretendere legittimamente la stabilità del decreto di trasferimento quando da una semplice visione degli atti si poteva evincere la non corrispondenza della situazione apparente con quella reale, ovvero la mancanza un creditore procedente e di un titolo per procedere nei confronti di O.M., nonchè di una istanza di vendita relativa alla sua quota di comproprietà dell’immobile. Per questi motivi, la corte d’appello dichiarava la nullità del decreto di trasferimento.
Nel contempo, l’ O. impugnava la sentenza di primo grado anche con ricorso straordinario ex art. 111 Cost., dinanzi a questa Corte, che veniva definito con la sentenza n. 7991 del 2010, la quale dichiarava inammissibili in limine i motivi di ricorso riconducibili alla opposizione all’esecuzione, in quanto avverso di essi il mezzo di impugnazione era l’appello, ed esaminava i motivi riconducibili alla proposta opposizione agli atti esecutivi, dichiarandoli parimenti inammissibili.
D.D., aggiudicataria dei beni pignorati, propone ricorso per la cassazione della sentenza n. 797 del 2007, depositata dalla Corte d’Appello di Cagliari il 18.12.2007 e notificata il 9.6.2008, nei confronti dei controricorrenti O.M., O. A., Fallimento Zetaflor e Fallimento V.A., articolato in cinque motivi.
Il solo O.M. ha depositato controricorso ed anche memoria ex art. 378 c.p.c., gli altri intimati non hanno svolto attività difensive.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente esaminata la questione processuale proposta da D.D. con il quinto motivo di ricorso. La ricorrente denuncia che la corte d’appello non abbia tenuto conto del fatto che avverso lo stesso provvedimento impugnato fossero in contemporanea pendenti più giudizi di impugnazione: oltre a quello pendente dinanzi a lei, un ricorso in cassazione ex art. 111 Cost., anch’esso proposto avverso la stessa sentenza di primo grado. Sostiene che la corte d’appello, presa cognizione di ciò, avrebbe dovuto spogliarsi del procedimento e rimettere la questione alla decisione della Corte di cassazione, per evitare contraddittorietà di giudicati, anche tenuto conto del fatto che nel frattempo era stata soppressa l’appellabilità delle sentenze di opposizione all’esecuzione con L. n. 52 del 2006.
Chiede quindi se la corte d’appello, dinanzi alla quale sia incardinata un’impugnazione inammissibile almeno in parte della sentenza di primo grado, nel momento in cui venga a conoscenza della successiva proposizione avverso lo stesso provvedimento di un ricorso per cassazione e della pendenza del giudizio dinanzi alla corte di cassazione non debba adottare provvedimenti di sospensione, in attesa della definizione della questione dinanzi alla corte di cassazione, o provvedimenti di rimessione dell’intera questione alla Corte di cassazione tenuto anche conto della sopravvenuta modifica legislativa dell’art. 616 c.p.c., che rende non impugnabili anche i provvedimenti emessi ex artt. 615 e 619 c.p.c..
Il motivo è infondato, in quanto, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, nel caso in cui siano stati proposti avverso lo stesso provvedimento due diversi mezzi di impugnazione, dei quali uno solo previsto dalla legge, il giudice dinanzi al quale è stato proposto il gravame ammissibile dovrà decidere sulla impugnazione, mentre l’altro dovrà dichiarare inammissibile il mezzo del quale è stato investito (cfr. Cass. n. 25452 del 2007 e Cass. n. 7991 del 2010 in cui si era eccepita la litispendenza tra il giudizio di appello, introdotto per primo, oggetto del presente ricorso per cassazione e il ricorso ex art. 111 Cost., definito dalla predetta sentenza sempre tra le parti principali O. e D. ed in relazione alla vicenda in esame).
Ove, come nel caso di specie, una opposizione in materia esecutiva possa scindersi in un duplice contenuto, in parte riferibile ad una opposizione agli atti esecutivi e in parte riferibile ad una opposizione all’esecuzione, l’impugnazione della sentenza deve seguire il diverso regime previsto per i distinti tipi di opposizione e pertanto correttamente, nel caso di specie, il giudice di appello adito ha dichiarato inammissibile l’appello per la parte afferente alla opposizione agli atti esecutivi mentre si è pronunciato nel merito sulla opposizione nella parte in cui si contestava il diritto a procedere all’esecuzione (v. Cass. n. 13203 del 2010).
Passando all’esame del merito, la ricorrente ed aggiudicataria dei beni D., dopo una esposizione estremamente sommaria dei fatti in relazione ad una vicenda così complessa che avrebbe meritato una più diffusa illustrazione ai fini di una più immediata comprensibilità, con il primo motivo di ricorso ribadisce le censure di inammissibilità dell’impugnazione già svolte in appello avverso la sentenza qualificata dal giudice di primo grado (anche) come opposizione agli atti esecutivi, l’incompetenza a decidere sulla impugnazione della corte d’appello ed il passaggio in giudicato, in relazione agli addebiti ex art. 617 c.c., nei suoi confronti della sentenza impugnata. Riferisce che la sentenza impugnata, pur avendo formalmente dichiarato l’inappellabilità della sentenza di primo grado per la parte il cui contenuto di essa era riconducibile ad una opposizione agli atti esecutivi, secondo la qualificazione operata dal giudice di prime cure, aveva poi in realtà superato questo confine.
Rileva poi che la corte d’appello avrebbe stigmatizzato un comportamento non limpido e mancante di diligenza da parte dell’aggiudicataria, sanzionabile solo qualora fosse stato riconducibile alla illegittimità degli atti esecutivi compiuti e, pertanto non rilevabile dalla corte d’appello. Ritiene quindi che la corte territoriale abbia sbagliato due volte, richiamando le norme sulla vendita volontaria, non applicabili alla vendita forzata, e giudicando su materia a lei sottratta in quanto non suscettibile di un secondo grado di giudizio di merito.
Conclude il primo motivo di ricorso con il seguente quesito: “Può la Corte d’Appello, nell’ambito delle proprie competente, desumere in forma autonoma profili di responsabilità estranei alle prensioni dell’art. 2929 c.c. – inesistenti nel nostro ordinamento giuridico in materia di vendita forcata – a carico dell’aggiudicatario dell’immobile venduto all’asta, senza incorrere nel vincolo previsto dall’art. 618 c.p.c., u.c., ovvero di inammissibilità dell’impugnazione in appello del provvedimento emanato nell’opposizione qualificata ex art. 6127 c.p.c., tenuto conto che nei confronti diretti dell’aggiudicatario possono solo essere opponìbili contestazioni relative agli atti esecutivi?” Il motivo è da rigettare, in quanto la sentenza dichiara chiaramente inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi, e la ricorrente non chiarisce adeguatamente quale punto della sentenza avrebbe pronunciato sul merito dell’appello proposto avverso l’opposizione agli atti esecutivi.
La ricostruzione che porta la corte d’appello ad accogliere l’appello e a dichiarare la nullità del decreto di trasferimento muove da una riconsiderazione generale dell’intera vicenda, da una riqualificazione della domanda principale in termini di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., e dall’accoglimento di essa e non dalla enucleazione di un singolo atto viziato.
Con il secondo motivo di ricorso la D. rileva la contraddittorietà della motivazione nel punto in cui qualifica l’opposizione proposta dall’ O. anche come opposizione all’esecuzione – e non opposizione di terzo, sostenendo che, al contrario, l’opposizione proposta dall’ O. dopo la vendita in cui è risultata aggiudicataria la ricorrente, tendente a far valere il proprio diritto alla titolarità del 50% indiviso sul bene trasferito, doveva necessariamente qualificarsi come opposizione di terzo, sottoposta al regime dell’art. 619 c.p.c. e segg.. Denuncia anche la violazione dell’art. 619 c.p.c..
Al termine del motivo sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: “Successivamente all’avvenuta vendita del bene immobile oggetto di esecuzione forcata e successivamente al conseguente decreto di trasferimento dello stesso, l’opposizione presentata dal comproprietario – titolare del 50% indiviso dell’immobile – nella procedura esecutiva, che non lo ha visto destinatario di atti processuali e neppure parte in giudizio, deve qualificarsi come opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c.?”.
Anche questo motivo di ricorso è da rigettare: quanto alla dedotta contraddittorietà della motivazione, il motivo, oltre a non contenere alcun punto di sintesi, non sviluppa in alcun modo una adeguata censura relativa al vizio della motivazione. In merito alla prospettata violazione di legge va ricordato che rientra nel potere ufficioso del giudice di merito, in qualsiasi fase del procedimento, il compito di interpretare la volontà delle parti e qualificare giuridicamente la domanda, individuando conseguentemente la norma applicabile, e che tale attività integra un giudizio di fatto, non censurabile in cassazione se non sotto il profilo del vizio di motivazione (e salvo che non venga denunciato che il giudice abbia travalicato i limiti del suo potere, incorrendo in un vizio di ultrapetizione, ipotesi neppure astrattamente configurata nel caso concreto dalla ricorrente: v. Cass. n. 12943 del 2013).
Con il terzo motivo di ricorso, la D. denuncia ancora l’inammissibilità dell’opposizione (di terzo) proposta dopo remissione del decreto di trasferimento dell’immobile, con violazione dell’art. 620 c.p.c., puntualizzando che essa, proposta in questo momento, potrebbe incidere esclusivamente sulla ripartizione della somma ricavata dall’incanto non potendo più avere effetto sulla titolarità del bene trasferito, e sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: “Il titolare del 50% indiviso dell’immobile – oggetto di procedimento esecutivo già promosso e pendente contro la proprietà dell’altra quota del 50% indiviso del bene può invalidare l’assegnazione della proprietà del bene ed il conseguente decreto di trasferimento avendo proposto opposizione di terzo dopo l’emissione del decreto di trasferimento stesso?”:
In realtà, la contestazione mossa non è pertinente al decisum: con il ricorso ed in particolare con il quesito si censura che sia stata ritenuta ammissibile, ed idonea a comportare l’annullamento del decreto di trasferimento, una opposizione di terzo tardiva, che dovrebbe a rigore ex art. 620 c.p.c., comportare soltanto per il terzo opponente, in caso di accoglimento, la possibilità di rivalersi in tutto o in parte sul ricavato della vendita. Ma la sentenza impugnata ha ritenuto che l’opposizione proposta dall’ O. non fosse una opposizione di terzo tardiva, bensì una opposizione all’esecuzione; il ricorso avrebbe dovuto censurare efficacemente se del caso la correttezza della nuova qualificazione giuridica dell’azione proposta operata dalla corte d’appello, laddove ha ritenuto di qualificare l’opposizione proposta come opposizione all’esecuzione e non opposizione di terzo (come la ricorrente ha in effetti tentato di fare, sebbene in modo non sufficientemente incisivo, con il secondo motivo di ricorso), e non lamentare che all’interno di una opposizione di terzo – qualificazione non tenuta ferma dal giudice d’appello – il terzo abbia conseguito un risultato per solito inconseguibile, in violazione dell’art. 620 c.p.c..
Ne consegue che il quesito di diritto sopra esaminato, richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis al ricorso in esame è inconferente, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso, dovendosi assimilare il quesito inconferente alla mancanza di quesito, allorchè la risposta, come nella specie, anche se positiva per l’istante, risulti comunque priva di rilevanza nella fattispecie, in quanto inidonea a risolvere la questione decisa con la sentenza impugnata (in questo senso, tra le tante, Cass. S.U. n. 11650 del 2008).
Con il quarto motivo di ricorso, la D. si duole della violazione dell’art. 2929 c.c., in relazione alle decisioni adottate dalla corte d’appello di annullare il decreto di trasferimento e di condannarla anche al pagamento delle spese processuali, in considerazione di una sua contestata omessa diligenza.
Rileva che in caso di vendita forzata l’aggiudicatario, che si accosta ad una situazione in cui già altri, ovvero il giudice, ha dovuto preliminarmente compiere tutte le verifiche necessarie per la vendibilità del bene, non ha alcun obbligo di diligenza, e può essere ritenuto responsabile, ex art. 2929 c.c., solo in caso di collusione con il creditore. Evidenzia l’assurdità della situazione in cui si è venuta a trovare, avendo già pagato la somma prevista nell’ordinanza di vendita per l’aggiudicazione, essendo stata la stessa ripartita tra i creditori e non più recuperabile, avendo subito la privazione del bene ^acquistato dalla procedura immobiliare ed anche la condanna al pagamento delle spese di lite.
Chiede se nella procedura esecutiva conclusasi con la vendita all’asta del bene l’aggiudicataria dell’immobile goda della tutela apprestata dall’ordinamento in favore del terzo di buona fede.
In particolare, sottopone alla Corte il seguente quesito: “Nel procedimento esecutivo, conclusosi con la vendita dell’immobile all’asta in regime di apparente regolarità degli atti e in assenza di opposizioni e con la verifica del giudice dell’esecuzione l’aggiudicataria dell’immobile in questione che ha regolarmente partecipato all’asta – e deve essere considerata terzo di buonafede – è quindi oggetto della tutela prevista nel nostro ordinamento per il terzo di buonafede che mette al riparo da nullità di sorta il proprio atto di acquisto?”.
Il motivo è fondato e va accolto.
Si è determinata nel caso di specie una situazione sicuramente singolare, in quanto è stato venduto all’asta dal giudice dell’esecuzione un intero immobile, del quale si è resa aggiudicataria la ricorrente D., benchè solo una quota parte prò indiviso di esso fosse in effetti assoggettata all’unica esecuzione ancora attiva, a carico di O.A., essendo l’altra parte (asseritamente di proprietà del O.M.) anch’essa in precedenza stata assoggettata ad una esecuzione in cui era intervenuta però rinuncia agli atti esecutivi da parte dell’unico creditore procedente e munito di titolo. La corte d’appello in accoglimento parziale dell’appello proposti dall’ O.M., ha dichiarato la nullità del decreto di trasferimento, richiamando l’art. 2929 c.c., e evidenziando, sotto il profilo soggettivo, che essa sia una norma a tutela del terzo acquirente di buona fede.
Tuttavia ha dato di essa una interpretazione non condivisibile e che contrasta con la stessa lettera della legge, sovvertendo le conclusioni cui era arrivato il giudice di primo grado.
La corte territoriale ha ritenuto infatti che la vendita forzata sia assoggettata, nei limiti della compatibilità con la natura coattiva del trasferimento, alle disposizioni in materia di compravendita, ed alla norma generale contenuta nell’art. 1175 c.c., per poi concludere che non possa utilmente invocare il proprio affidamento incolpevole l’aggiudicatario che abbia partecipato all’asta, risultandone vincitore, senza preliminarmente controllare gli atti della procedura esecutiva (evidenziando che, ove avesse visionato gli atti, l’aggiudicataria avrebbe potuto ricostruire l’accaduto e accorgersi della mancanza di qualsiasi atto di impulso da parte di un creditore munito di titolo esecutivo in riferimento alla quota pignorata in origine a carico di O.M.).
L’art. 2929 c.c., prevede che eventuali nullità degli atti esecutivi che hanno – preceduto la vendita o l’assegnazione non hanno effetto riguardo all’acquirente o all’assegnatario, salvo il caso di collusione con il creditore procedente (ed aggiunge che gli altri creditori non sono in ogni caso tenuti a restituire quanto, hanno percepito in virtù dell’esecuzione).
Ciò comporta che il debitore debba attivarsi per far valere eventuali nullità procedimentali precedenti alla vendita oltre che nel rispetto dei termini fissati dall’art. 617, in ogni caso prima che la vendita stessa abbia luogo, in quanto a vendita intervenuta, a salvaguardia della certezza dei rapporti e per incoraggiare il ricorso allo strumento della esecuzione forzata come mezzo di chiusura per consentire al creditore il recupero del suo credito, nel conflitto di interessi tra l’interesse del debitore alla regolarità della procedura o di un altro soggetto a che alla procedura non sia illegittimamente assoggettato un bene che in tutto o in parte non è dell’esecutato, e dall’altra parte, l’interesse dell’aggiudicatario alla stabilità del suo acquisto, e del creditore a portare definitivamente a termine l’operazione di recupero forzoso del credito, il legislatore ha ritenuto di far prevalere gli interessi dell’aggiudicatario e del creditore. Il principio sotteso a questa scelta è quello, richiamato anche dalla corte d’appello, della tutela del terzo di buona fede, e della tutela dell’affidamento incolpevole, che si somma e converge in questo caso con la miglior tutela della garanzia patrimoniale del creditore e con la tutela della certezza dei rapporti giuridici.
Questa norma quindi costituisce uno sbarramento esterno alla proponibilità delle opposizioni agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., che non possono mai utilmente essere proposte se la vendita sia già intervenuta, ed anche rispetto alle altre opposizioni, nel senso che ove proposte quando la vendita sia già intervenuta non possono spiegare se accolte effetto recuperatorio del bene nel patrimonio dell’opponente. A conferma di ciò è utile richiamare la massima tratta da Cass. n. 7991/2010, che ha definito appunto il giudizio relativo alle opposizioni agli atti esecutivi proposte dall’ O.:
Va dichiarata inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi con cui il debitore denunci un vizio formale verificatosi prima della vendita, qualora sia proposta dopo che la vendita è già stata compiuta, atteso che la disposizione di cui all’art. 2929 c.c., dispone che la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita non ha effetto riguardo all’acquirente o all’assegnatario, salvo il caso di loro collusione con il creditore procedente, dando, quindi, la predetta norma risalto solo a tale collusione, che presuppone una dolosa preordinazione della condotta dell’acquirente in danno dell’esecutato, e a nulla rilevando, invece, il difetto di diligenza del terzo acquirente”.
La scelta legislativa di privilegiare una categoria di soggetti a discapito di un’altra in conseguenza della maggior meritevolezza degli interessi dei quali essi sono normalmente portatori e della coincidenza con essi degli interessi generali ritenuti prevalenti (in particolare, l’interesse a non scoraggiare la fruizione delle vendite in sede esecutiva, per la loro funzione di garanzia recuperatoria dei crediti), non è indiscriminata ma incontra a sua volta un limite, anch’esso normativamente previsto, che è, all’interno dell’art. 2929 c.c., quello della collusione tra l’aggiudicatario e il creditore procedente.
E’ questo il punto in cui l’interpretazione della norma data dalla corte d’appello è errata.
Essa infatti ha ignorato che l’unico limite alla tutela dell’aggiudicatario è costituito dalla collusione con il creditore procedente per porre invece un non previsto e ben più gravoso onere di diligenza a carico della parte aggiudicataria, introducendo un arbitrario parallelismo tra vendita volontaria e vendita forzosa.
Essa in primo luogo svaluta il dato testuale che pur in questo caso è chiarissimo, in quanto l’espressione “collusione con il creditore procedente” presuppone una intesa con il creditore procedente, in danno del debitore, ovvero una dolosa preordinazione della condotta dell’acquirente in danno all’esecutato ed anche una consapevolezza della esistenza di una nullità, in capo sia all’acquirente che al creditore.
Solo a fronte di un comportamento non semplicemente mancante di diligenza, e neppure solo contrario a buona fede ma doloso e in accordo con il creditore, viene meno il fondamento della tutela privilegiata accordata all’aggiudicatario dall’art. 2929 c.c..
Si ha collusione solo se aggiudicatario e creditore fossero entrambi ben consapevoli della nullità della ordinanza di vendita o che comunque si riverberava sulla vendita, ed abbiano deciso di tacere e portare ugualmente a termine la vendita l’una per compiere un acquisto vantaggioso, l’altro per una più sicura occasione di vendere un bene reso più allettante dall’errore procedurale compiuto.
A ciò si aggiunga che la vendita forzata si differenzia dal contratto di compravendita, in cui esiste un onere della parte acquirente di verificare secondo l’ordinaria diligenza la congruità dell’affare, l’identificazione del bene, il suo reale valore, per poter consapevolmente scegliere se concludere il contratto o meno (non avendo, tra l’altro, strumenti di tutela a fronte di un acquisto semplicemente non vantaggioso). Nella vendita forzata invece, il potenziale acquirente si affida all’ufficio giudiziario che sovrintende alla vendita, ed ha ragione di attendersi che esso svolga tutti i controlli necessari per la validità del procedimento, non potendosi l’acquirente ritenere onerato di ripercorrere e controllare, in prima persona, l’attività svolta dall’ufficio per poter essere tutelato in caso che esistano delle nullità procedimentali (questa Corte ha più volte avuto modo di sottolineare la non assimilabilità della vendita forzata alla vendita volontaria;
per tutte, v. Cass. n. 7659 del 2001 che evidenziava che la vendita forzata, attuando un trasferimento coattivo che prescinde dalla volontà del debitore proprietario del bene, non è equiparabile alla vendita volontaria, onde deve ritenersi il carattere eccezionale delle norme codicistiche che, per taluni aspetti, quanto alla disciplina, equiparano i due tipi di vendita).
Va detto che la ricostruzione della portata normativa dell’art. 2929 c.c., ovvero l’interpretazione da dare all’ampiezza della tutela di cui gode l’aggiudicatario in caso di nullità del processo esecutivo e ai suoi limiti, è stata oggetto di contrasti nella giurisprudenza della Corte.
Recentemente sono intervenute le Sezioni Unite con la sentenza n. 21110 del 2012 (in cui le S.U., pur ritenendo inammissibile il ricorso proposto, data l’importanza della questione e l’urgenza nomofilattica di dirimere i contrasti di giurisprudenza segnalati nell’ordinanza di rimessione, ha ritenuto di affrontare comunque la questione e risolverla pronunciando d’ufficio un principio di diritto nell’interesse della legge, facendo uso del potere di cui all’art. 363 c.p.c., comma 3).
Nel caso esaminato da Cass. S.U. n. 21110 del 2012 occorreva stabilire se l’inesistenza del titolo esecutivo, accertata all’esito di un giudizio di opposizione all’esecuzione, travolga o meno l’acquisto dell’immobile pignorato compiuto dal terzo di buona fede nel corso della procedura espropriativa. La Corte ha affermato che, anche nel caso estremo che un bene sia stato venduto all’asta pur in mancanza di un valido titolo esecutivo in capo al creditore, l’acquisto dell’aggiudicatario, per la tutela offerta dall’art. 2929 c.c., vada tenuto fermo.
La massima della suddetta sentenza così recita: “Il sopravvenuto accertamento dell’inesistenza di un titolo idoneo a giustificare l’esercito dell’adone esecutiva non fa venir meno l’acquisto dell’immobile pignorato, che sia stato compiuto dal terzo nel corso della procedura espropriativa in conformità alle regole che disciplinano lo svolgimento di tale procedura, salvo che sia dimostrata la collusione del terzo col creditore procedente. In tal caso, tuttavia, resta salvo il diritto dell’esecutato di far proprio il ricavato della vendita e di agire per il risanamento dell’eventuale danno nei confronti di chi, agendo senza la normale prudenza, abbia dato corso al procedimento esecutivo in difetto di un titolo idoneo”.
La sentenza delle Sezioni Unite motiva sulla base della esigenza di tutelare la stabilità dell’acquisto in sede di asta immobiliare, e di non scoraggiare la partecipazione alle aste, la necessità che, nel conflitto tra il proprietario dell’immobile venduto all’asta e l’aggiudicatario, prevalga il diritto dell’aggiudicatario, salvo il caso di sua malafede nel senso di collusione con il creditore e non semplicemente di mancanza di diligenza, ritenendosi che l’aggiudicatario operi in una situazione protetta, in cui legittimamente può presumere che tutti i controlli necessari ai fini della individuazione e della titolarità del bene siano stati fatti esattamente dalla procedura esecutiva.
In particolare, a proposito della inesigibilità di una diligenza così stringente come, nella sentenza qui impugnata, pretesa dalla corte d’appello in capo all’aggiudicatario, la sentenza n. 21110 del 2012 soggiunge che “sembra francamente eccessivo pretendere da lui (l’aggiudicatario) una diligenza tale da imporgli di indagare sulla sussistenza e validità del titolo esecutivo per il quale si sta procedendo, volta che non sia stata disposta dal giudice la sospensione dell’esecuzione richiesta dall’esecutato o che, magari, nessuna contestazione sia stata neppure ancora sollevata in proposito al momento della vendita”.
Il quarto motivo di ricorso va pertanto accolto, e la sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Cagliari che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese attenendosi al seguente principio di diritto: “In materia di vendita forcata, l’acquisto compiuto dall’aggiudicatario rimane fermo anche in presenta di nullità del procedimento esecutivo precedenti alla vendita ma fatte valere successivamente dal debitore esecutato o dal terzo che assume essere stato pregiudicato dall’esecuzione, salvo il caso di collusione tra aggiudicatario e creditore, che presuppone non la semplice mancanza di diligenza dell’acquirente nell’eseguire i controlli precedenti all’acquisto, ma la consapevolezza della nullità e un accordo in danno all’esecutato tra acquirente e creditore”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese, alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di Cassazione, il 29 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2014
Massima
In materia di vendita forzata, l’acquisto compiuto dall’aggiudicatario rimane fermo anche in presenza di nullità del procedimento esecutivo precedenti la vendita, ma fatte valere successivamente dal debitore esecutato o dal terzo che assuma di essere stato pregiudicato dall’esecuzione, salvo il caso di collusione fra aggiudicatario e creditore, che presuppone non la semplice mancanza di diligenza dell’acquirente nell’eseguire i controlli precedenti l’acquisto ma la consapevolezza della nullità e l’esistenza di un accordo in danno all’esecutato intervenuto fra acquirente e creditore.