In base alla normativa comunitaria volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, il soggetto munito di un titolo equivalente a quello di avvocato conseguito in un Paese membro dell’Unione europea, qualora voglia esercitare la professione in Italia, può chiedere l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati del foro nel quale intendere eleggere domicilio professionale in Italia. L’iscrizione è subordinata al possesso dei requisiti di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 96 del 2001 e in sede di iscrizione il Consiglio dell’ordine degli avvocati non può opporre la mancanza di diversi requisiti – segnatamente quello della condotta specchiatissima e illibata (art. 17 r.d.l. n. 1578 del 1933), ovvero, oggi, della condotta irreprensibile (art. 17 della legge n. 247 del 2012) – prescritti dall’ordinamento forense nazionale, salvo il caso in cui la condotta del richiedente possa essere qualificata come abuso del diritto.
Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione – sezioni unite civili – con sentenza n. 4252 del 4 marzo 2016
Il caso
Un avvocato spagnolo, iscritto all’Ordine degli Abogados di Madrid, chiedeva l’iscrizione all’Albo degli avvocati stabiliti presso il COA di Milano. In data 29 novembre 2012 il richiedente avvocato veniva convocato dal COA perché dai certificati acquisiti risultava una condanna ex art. 445 cod. proc. pen., per reati di falsità materiale e contraffazione di pubblici sigilli, con la quale era stata applicata la pena di dieci mesi di reclusione. All’esito, con delibera dello stesso giorno, depositata il 3 aprile 2013, il COA rigettava la richiesta di iscrizione.
L’avvocato spagnolo proponeva ricorso al CNF che lo rigettava. In particolare, il CNF riteneva che la richiesta di iscrizione all’Albo degli avvocati stabiliti non esclude la necessità che il professionista sia in possesso del requisito della condotta specchiatissima e illibata, prescritta dall’ordinamento forense (condotta irreprensibile ai sensi della legge n. 247 del 2012), anche per le sezioni speciali dell’albo degli avvocati, non potendosi limitare la possibilità di verifica del requisito alla mera segnalazione al consiglio dello Stato membro per i provvedimenti di competenza. Se così fosse, prosegue il CNF, il COA nazionale non potrebbe svolgere alcun accertamento sul rispetto, da parte dell’iscritto alla sezione speciale, delle regole deontologiche.
Nel merito, il CNF riteneva che il precedente penale fosse vincolante ai sensi dell’art. 653, comma 1-bis, cod. proc. pen., e che i fatti accertati fossero incompatibili con il possesso del requisito della condotta specchiatissima. Il CNF escludeva, poi, che in materia di iscrizione agli albi professionali potesse operare l’istituto del silenzio assenso, e riteneva che i tempi di svolgimento del procedimento fossero comunque stati adeguati, tenuto conto della istruttoria svolta. Da qui il ricorso per cassazione.
I motivi di ricorso
Con il primo motivo il ricorrente sostiene che il COA sarebbe sprovvisto di ogni potere in ordine alla iscrizione nella sezione speciale degli avvocati stabiliti, essendo la iscrizione un provvedimento vincolato. Inoltre, le vicende considerate dal COA di Milano per revocare l’iscrizione erano relative a periodi precedenti alla iscrizione e quindi irrilevanti a fini disciplinari.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce che l’art. 5 del d.lgs. n. 96 del 2001, che prescrive per l’avvocato stabilito l’obbligo di osservare le norme legislative, professionali e deontologiche della professione di avvocato opererebbe solo a iscrizione avvenuta. La sentenza impugnata, ad avviso del ricorrente, sarebbe poi erronea in quanto il CNF non avrebbe affatto proceduto ad un’autonoma valutazione della rilevanza dei fatti oggetto di condanna penale ex art. 444 cod. proc. pen.
Con il terzo motivo, il ricorrente avvocato spagnolo censura la valutazione espressa dal CNF sulla inapplicabilità del silenzio assenso al procedimento di iscrizione all’Albo degli avvocati stabiliti, che deriverebbe dall’applicazione dell’art. 45 del d.lgs. n. 59 del 2010.
Il primo motivo di ricorso viene ritenuto fondato.
Secondo gli Ermellini a sezioni unite, il decreto legislativo n. 96 del 2001 ha dato attuazione alla direttiva 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale. In sintesi, la direttiva prevede un procedimento di “stabilimento/integrazione”, avvalendosi del quale il soggetto munito di equivalente titolo professionale di altro Paese membro può chiedere l’iscrizione nella Sezione speciale dell’Albo italiano del foro nel quale intende eleggere domicilio professionale in Italia, utilizzando il proprio titolo d’origine (ad es., quello, spagnolo, di “abogado”) e, al termine di un periodo triennale di effettiva attività in Italia (d’intesa con un legale iscritto nell’Albo italiano), può chiedere di essere “integrato” con il titolo di avvocato italiano e l’iscrizione all’Albo ordinario, dimostrando al Consiglio dell’Ordine effettività regolarità dell’attività svolta in Italia come professionista comunitario stabilito.
La procedura di iscrizione.
L’art. 6 del d.lgs. n. 96 del 2001, sotto la rubrica “Iscrizione”, stabilisce, al comma 1, che «Per l’esercizio permanente in Italia della professione di avvocato, i cittadini degli Stati membri in possesso di uno dei titoli di cui all’articolo 2, sono tenuti ad iscriversi in una sezione speciale dell’albo costituito nella circoscrizione del tribunale in cui hanno fissato stabilmente la loro residenza o il loro domicilio professionale, nel rispetto della normativa relativa agli obblighi previdenziali»; al comma 2, che «L’iscrizione nella sezione speciale dell’albo è subordinata alla iscrizione dell’istante presso la competente organizzazione professionale dello Stato membro di origine»; al comma 3, che «La domanda di iscrizione deve essere corredata dai seguenti documenti: a) certificato di cittadinanza di uno Stato membro della Unione europea o dichiarazione sostitutiva; b) certificato di residenza o dichiarazione sostitutiva ovvero dichiarazione dell’istante con la indicazione del domicilio professionale; c) attestato di iscrizione alla organizzazione professionale dello Stato membro di origine, rilasciato in data non antecedente a tre mesi dalla data di presentazione, o dichiarazione sostitutiva». Il successivo art. 12 dispone poi che «1. L’avvocato stabilito che per almeno tre anni, a decorrere dalla data di iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati, abbia esercitato in Italia, in modo effettivo e regolare, la professione con il titolo professionale di origine è dispensato dalla prova attitudinale di cui all’art. 8 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115. 2. Per esercizio effettivo e regolare della professione di cui al comma 1 si intende l’esercizio reale dell’attività professionale esercitata senza interruzioni che non siano quelle dovute agli eventi della vita quotidiana. Nel caso di interruzioni dovute ad eventi di altra natura, l’attività svolta è presa in esame se la stessa ha avuto una durata almeno triennale, senza calcolare il periodo di interruzione, e se non vi siano ragioni che ostino ad una valutazione dell’attività come effettiva e regolare. 3. L’avvocato stabilito che è stato dispensato dalla prova attitudinale, se concorrono le altre condizioni previste dalle disposizioni in materia di ordinamento forense, può iscriversi nell’albo degli avvocati e per l’effetto esercitare la professione con il titolo di avvocato».
Le Sezioni Unite hanno già avuto modo di rilevare che l’iscrizione nella sezione speciale dell’Albo degli avvocati comunitari stabiliti è, ai sensi dell’art. 3, comma 2, della direttiva 98/5/Ce e dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 96 del 2001, subordinata alla sola condizione della documentazione dell’iscrizione presso la corrispondente Autorità di altro Stato membro (Cass. S.U., n. 28340 del 2011). In sostanza – proseguono i giudici di piazza Cavour – unici requisiti legittimanti l’iscrizione alla sezione speciale sono quelli specificamente elencati nell’art. 6, comma 2, citato. Il CNF ha invece ritenuto che l’iscrizione nella sezione speciale fosse comunque subordinata al possesso, da parte del richiedente, degli ulteriori requisiti prescritti per l’iscrizione all’Albo degli avvocati, e segnatamente del requisito di onorabilità [condotta specchiatissima e illibata, prescritta dall’ordinamento forense (condotta irreprensibile ai sensi della legge n. 247 del 2012)]. E su tale base ha respinto la domanda di iscrizione alla sezione degli avvocati stabiliti del ricorrente.
Il CNF ha errato.
Per la Corte regolatrice, la soluzione cui è pervenuto il CNF non può essere condivisa. Difatti, l’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 96 del 2001, del quale si è prima riprodotto il testo, prevede che la verifica degli altri requisiti previsti dalla legislazione nazionale per l’iscrizione all’albo degli avvocati debba essere effettuata, con riguardo agli avvocati iscritti alla sezione speciale degli avvocati stabiliti, solo nel momento in cui questi chiedano l’iscrizione all’albo degli avvocati, come è loro consentito fare dopo un triennio di effettivo svolgimento della professione in Italia con il titolo acquisito in altro Stato membro. Solo nel momento in cui il richiedente intenda abbandonare la qualifica acquisita in altro Stato membro per conseguire il titolo professionale previsto dalla legislazione italiana, sorge, dunque – proseguono i giudici di piazza Cavour – l’obbligo, per il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di verificare la sussistenza di tutti gli altri requisiti di iscrizione, ivi compresi quelli di onorabilità.
La finalità della direttiva comunitaria n.5/98/CE
Del resto – sottolineano gli Ermellini – posto che la finalità della direttiva comunitaria n. 5/98/CE, attuata dal d.lgs. n. 96 del 2001, è quella di consentire l’esercizio della professione forense da parte di chi abbia acquisito in altro Stato membro il titolo equivalente a quello di avvocato, appare maggiormente rispondente alla detta finalità una interpretazione della normativa di attuazione nel senso che la stessa non consente, in sede di richiesta di iscrizione all’elenco speciale degli avvocati stabiliti, di svolgere accertamenti su requisiti diversi da quelli di cui al citato art. 6, comma 2.
In questa prospettiva non è poi senza rilievo la circostanza che la iscrizione all’elenco degli avvocati stabiliti consente l’esercizio della professione con la qualifica conseguita nello Stato membro nel quale il titolo è stato conseguito. Al contrario, nel momento in cui l’iscritto all’elenco speciale chieda l’iscrizione all’albo degli avvocati il potere dei Consigli dell’ordine di verificare la sussistenza dei requisiti di iscrizione al detto albo può essere esercitato con riferimento a tutti i requisiti previsti dall’ordinamento forense. Eventuali incompatibilità che dovessero essere rilevate con lo svolgimento dell’attività professionale in Italia, ancorché con la qualifica derivante dal titolo conseguito in altro Stato membro, potranno essere portate a conoscenza del competente organismo dello Stato membro per le determinazione che esso intenderà assumere con riguardo al titolo rilasciato in quello Stato.
Il limite della condotta “abusiva”.
Inoltre, le Sezioni Unite hanno avuto modo di chiarire (S.U., ord. n. 15694 del 2015) che il potere di verifica in ordine alla sussistenza dei requisiti di iscrizione può invece svolgersi nel caso in cui la richiesta di iscrizione appaia connotata da abusività in ordine al requisito della “condotta irreprensibile”. Nella citata ordinanza si è infatti chiarito che «la legittimità della condotta del cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea che si rechi in altro Stato membro per acquisirvi la qualifica di avvocato e poi rientri nello Stato d’origine per esercitarvi la professione (Corte di giustizia, sentenza 17 luglio 2014, cause C-58/13 e C- 59/13) non impedisce ai Consigli dell’ordine di verificare se tale percorso sia diretto a consentire l’esercizio della professione in condizioni preclusive per l’ordinamento italiano, perché caratterizzate da abuso del diritto.
Il principio di diritto
Da qui l’accoglimento del primo motivo del ricorso con conseguente assorbimento delle ulteriori censure, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio al Consiglio Nazionale Forense che, in diversa composizione, farà applicazione del seguente principio di diritto: in base alla normativa comunitaria volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, il soggetto munito di un titolo equivalente a quello di avvocato conseguito in un Paese membro dell’Unione europea, qualora voglia esercitare la professione in Italia, può chiedere l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati del foro nel quale intendere eleggere domicilio professionale in Italia. L’iscrizione è subordinata al possesso dei requisiti di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 96 del 2001 e in sede di iscrizione il Consiglio dell’ordine degli avvocati non può opporre la mancanza di diversi requisiti – segnatamente quello della condotta specchiatissima e illibata (art. 17 r.d.l. n. 1578 del 1933), ovvero, oggi, della condotta irreprensibile (art. 17 della legge n. 247 del 2012) – prescritti dall’ordinamento forense nazionale, salvo il caso in cui la condotta del richiedente possa essere qualificata come abuso del diritto.
Una breve riflessione
La sentenza in rassegna è in linea con la direttiva comunitaria n. 5/98/CE, attuata dal d.lgs. n. 96 del 2001, il cui fine è quello di consentire l’esercizio della professione forense da parte di chi abbia acquisito in altro Stato membro il titolo equivalente a quello di avvocato.
Ed effettivamente, se ci atteniamo alla lettera della norma, la interpretazione offerta dalle Sezioni Unite è anche ineccepibile dal punto di vista tecnico-giuridico.
Certamente, però, non appare coerente con un sistema teso a garantire la “qualità” dei servizi legali offerti ritenere che l’avvocato proveniente da un Paese dell’UE possa iscriversi nell’elenco speciale anche senza essere in possesso del requisito della “condotta irreprensibile” mentre tale requisito possa essergli opposto qualora, dopo il triennio, egli richieda la “migrazione” dall’albo speciale all’albo ordinario.
Come dire, sembrerebbe di capire che, all’avvocato protagonista della vicenda processuale in rassegna, potrebbe accadere, in futuro, di non poter iscriversi nell’albo ordinario proprio per la mancanza del requisito della “condotta irreprensibile”.
Ed allora, forse sarebbe il caso che le varie legislazioni dell’UE si amalgamassero nel senso di consentire una vera e propria integrazione dei professionisti, garantendo ai medesimi dei meccanismi più certi e trasparenti in ordine ai trasferimenti da un paese dell’UE ad un altro.
Si ha l’impressione che la sezione speciale dell’albo, dedicata (anche) agli avvocati stabiliti, sia un escamotage per creare due corsie: gli avvocati nazionali, da un lato e gli avvocati provenienti da altro Paese dell’UE, dall’altro.
Norme frammentarie ed interpretazioni contrastanti possono ingenerare incertezza ed ostacolare, anziché consentire, la libera circolazione dei professionisti all’interno dell’Unione Europea.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
managing partner at clouvell (www.clouvell.com)