Ai fini dell’indagine sulla sussistenza del requisito socio economico per il conseguimento dell’assegno di invalidità civile si deve tenere conto del quadro normativo in base al quale dall’entrata in vigore della L. n. 68 del 1999 e sino a quando la L. n. 247 del 2007 ha trasformato il requisito occupazionale (da incollocazione al lavoro in mera mancanza di occupazione), il disabile che richiede l’assegno d’invalidità civile deve provare non solo di non aver lavorato, ma anche di essersi attivato per essere avviato al lavoro nelle forme riservate ai disabili, mentre nel periodo successivo (dal 1.1.2008) dovrà provare solo il suo stato di non occupazione.
Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione – sezione lavoro– con ordinanza n°2701 del giorno 11 febbraio 2016
Il caso
La Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda di una inabile tesa al riconoscimento dell’assegno ex art. 13 della legge n.118 del 1971, senza disporre la rinnovazione della consulenza tecnica medico legale, sul rilievo che non era stata offerta la prova dell’esistenza dei requisiti socio economici che, al pari di quello sanitario, sono necessari per il riconoscimento della prestazione assistenziale.
La Corte territoriale ha infatti accertato che nulla era stato allegato e dimostrato dalla ricorrente nel ricorso di primo grado, che qualsiasi produzione in appello era tardiva, e, dunque, non sussistevano le condizioni per disporre la chiesta rinnovazione degli accertamenti medico legali. Da qui il ricorso per cassazione della inabile.
La Corte territoriale ha infatti accertato che nulla era stato allegato e dimostrato dalla ricorrente nel ricorso di primo grado, che qualsiasi produzione in appello era tardiva, e, dunque, non sussistevano le condizioni per disporre la chiesta rinnovazione degli accertamenti medico legali. Da qui il ricorso per cassazione della inabile.
La Suprema Corte premette in fatto che la ricorrente ha presentato domanda amministrativa per conseguire la prestazione assistenziale disciplinata dall’art. 13 della legge n. 118 del 1971 in data 5 ottobre 2005 mentre ha proposto ricorso per ottenere la prestazione negatale in via amministrativa in data 7.7.2008.
La Corte territoriale, investita delle censure formulate alla sentenza di primo grado che aveva escluso l’esistenza del requisito sanitario, aveva ritenuto di non poter procedere alla rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio sul rilievo che non era stata offerta da parte della ricorrente la prova dell’esistenza del requisito socio economico.
La Corte territoriale, investita delle censure formulate alla sentenza di primo grado che aveva escluso l’esistenza del requisito sanitario, aveva ritenuto di non poter procedere alla rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio sul rilievo che non era stata offerta da parte della ricorrente la prova dell’esistenza del requisito socio economico.
Il requisito reddituale e quello socio economico
Ricordano gli Ermellini che nei giudizi volti al riconoscimento del diritto a pensione o ad assegno di invalidità civile, il requisito reddituale e quello socioeconomico, al pari del requisito sanitario, costituiscono elementi costitutivi del diritto, la cui sussistenza va verificata anche d’ufficio ed è preclusa solo dalla relativa non contestazione, ove la situazione reddituale sia stata specificamente dedotta, nonché dal giudicato, nel caso in cui non sia stato proposto sul punto specifico motivo di appello (cfr. Cass. 16395 del 2008 e molte altre successive, cfr. Cass. n. 13527 del 2015).
La prova è a carico del soggetto richiedente la prestazione (v. Cass. 10 novembre 2009 n. 23762 e numerose altre conformi).
La prova è a carico del soggetto richiedente la prestazione (v. Cass. 10 novembre 2009 n. 23762 e numerose altre conformi).
La mancanza del requisito socio economico è rilevabile d’ufficio.
La mancanza del requisito socio economico è rilevabile d’ufficio, ove il giudice di primo grado abbia rigettato la domanda per aver escluso la sussistenza del requisito sanitario e l’interessato abbia appellato in ordine a tale esclusione (Cass. 13 aprile 1995, n.4217 e numerose altre successive, tra cui Cass. 7 giugno 2001 n. 7716; id. 4 aprile 2002, n. 4834; 11 luglio 2007, n. 15486; 5 ottobre 2011, n.20427; 11 giugno 2012, n. 9423).
Il quadro normativo di riferimento si è modificato nel tempo.
La Corte regolatrice rammenta però che il quadro normativo di riferimento si è modificato nel tempo.
La norma base era costituita dalla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 13 che disponeva che “Ai mutilati ed invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo ed il sessantacinquesimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74%, incollocati al lavoro e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso a carico dello stato ed a cura del
Ministero dell’Interno, un assegno mensile di lire 12.000 per tredici mensilità, con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui allo articolo precedente”.
Oltre al requisito sanitario, si richiedeva quindi, fino al 1.1.2008 (data di entrata in vigore della legge n. 247 del 2007) che il soggetto fosse “incollocato al lavoro”.
Con la legge n. 68 del 1999 è stata radicalmente modificata la normativa sulle assunzioni dei disabili e, mentre nel regime della legge L. n. 482 del 1968 (con la quale si coordinava la legge sulla invalidità
civile del 1971 nel suo testo originario) all’invalido era consentito di chiedere l’iscrizione negli elenchi mediante la presentazione di una domanda munita della necessaria documentazione attestante la sussistenza dei requisiti e, in tale contesto, era incollocato al lavoro l’invalido privo di occupazione che, mediante la presentazione della domanda di iscrizione negli elenchi, si era reso disponibile all’assunzione obbligatoria, nel regime della legge n. 68 del 1999 per richiedere l’iscrizione negli elenchi previsti dall’art. 8 era necessario esperire una fase preliminare volta all’accertamento dei requisiti sanitari previsti dal primo comma dell’art. 1 (minorazioni che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, o situazioni analoghe previste dalle ulteriori lettere del medesimo articolo) e, per espressa previsione dell’art. 1, comma 4, il diritto ad accedere al sistema per l’inserimento lavorativo dei disabili (e quindi la possibilità di fare la domanda di iscrizione nelle liste) sorgeva solo dopo l’accertamento dei requisiti sanitari (sopra indicati) ad opera delle commissioni mediche previste dalla L. n. 104 del 1992, art. 4.
Ove non sia stata esaurita – prosegue la Suprema Corte – questa fase “rigorosamente propedeutica” (Cass. 9502 del 2012) e la riduzione della capacità lavorativa non sia stata “accertata” (L. n. 68 del 1999, art. 1, commi 1 e 4) il disabile non può chiedere l’iscrizione nelle liste. A ciò si aggiunga che la legge non fissa termini alla commissione medica per il suo espletamento.
La norma base era costituita dalla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 13 che disponeva che “Ai mutilati ed invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo ed il sessantacinquesimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74%, incollocati al lavoro e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso a carico dello stato ed a cura del
Ministero dell’Interno, un assegno mensile di lire 12.000 per tredici mensilità, con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui allo articolo precedente”.
Oltre al requisito sanitario, si richiedeva quindi, fino al 1.1.2008 (data di entrata in vigore della legge n. 247 del 2007) che il soggetto fosse “incollocato al lavoro”.
Con la legge n. 68 del 1999 è stata radicalmente modificata la normativa sulle assunzioni dei disabili e, mentre nel regime della legge L. n. 482 del 1968 (con la quale si coordinava la legge sulla invalidità
civile del 1971 nel suo testo originario) all’invalido era consentito di chiedere l’iscrizione negli elenchi mediante la presentazione di una domanda munita della necessaria documentazione attestante la sussistenza dei requisiti e, in tale contesto, era incollocato al lavoro l’invalido privo di occupazione che, mediante la presentazione della domanda di iscrizione negli elenchi, si era reso disponibile all’assunzione obbligatoria, nel regime della legge n. 68 del 1999 per richiedere l’iscrizione negli elenchi previsti dall’art. 8 era necessario esperire una fase preliminare volta all’accertamento dei requisiti sanitari previsti dal primo comma dell’art. 1 (minorazioni che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, o situazioni analoghe previste dalle ulteriori lettere del medesimo articolo) e, per espressa previsione dell’art. 1, comma 4, il diritto ad accedere al sistema per l’inserimento lavorativo dei disabili (e quindi la possibilità di fare la domanda di iscrizione nelle liste) sorgeva solo dopo l’accertamento dei requisiti sanitari (sopra indicati) ad opera delle commissioni mediche previste dalla L. n. 104 del 1992, art. 4.
Ove non sia stata esaurita – prosegue la Suprema Corte – questa fase “rigorosamente propedeutica” (Cass. 9502 del 2012) e la riduzione della capacità lavorativa non sia stata “accertata” (L. n. 68 del 1999, art. 1, commi 1 e 4) il disabile non può chiedere l’iscrizione nelle liste. A ciò si aggiunga che la legge non fissa termini alla commissione medica per il suo espletamento.
Il requisito della incollocazione al lavoro
In una interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina, la Cassazione ha stabilito allora che “In materia di assegno di invalidità civile, il requisito della incollocazione al lavoro, nello specifico contesto normativo che caratterizza il periodo di tempo tra l’entrata in vigore della legge 12 marzo 1999, n. 68, e l’entrata in vigore della legge 24 dicembre 2007, n. 247, può dirsi sussistente qualora l’interessato provi di non aver svolto attività lavorativa e di aver richiesto l’accertamento di una riduzione dell’attività lavorativa, in misura tale da consentirgli l’iscrizione negli elenchi di cui all’art. 8 della n. 68 del 1999 da parte delle commissioni mediche competenti a tal fine. Nel caso in cui tale accertamento sia precedente rispetto alla data di decorrenza del requisito sanitario per l’invalidità (riduzione della capacità lavorativa del 74% o superiore), sarà necessaria la prova di aver ottenuto o quanto meno richiesto l’iscrizione negli elenchi di cui all’art. 8 della legge n. 68 del 1999.”(cfr. Cass. n. 19833 del 2013).
Le novità introdotte dalla legge n.247 del 2007.
Il quadro normativo è poi sostanzialmente modificato dalla legge n.247 del 2007, applicabile dal 1.1.2008, che con 1’art. 1, comma 35, non richiede più la “incollocazione al lavoro”, ma semplicemente lo stato di inoccupazione. La legge individua il requisito in questi termini: disabili “che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste”.
Il concetto di incollocazione e quello di non occupazione
Per i giudici di legittimità, tra il concetto di incollocazione e quello di non occupazione vi è una sostanziale differenza. Il disabile incollocato al lavoro non è semplicemente disoccupato: è il disabile che, essendo privo di lavoro, si è iscritto o ha chiesto di iscriversi negli elenchi speciali per l’avviamento al lavoro. Ha cioè attivato il meccanismo per l’assunzione obbligatoria. Al contrario il requisito della “inoccupazione” (di più semplice verificazione) corrisponde al mancato svolgimento di attività lavorativa. Il nuovo testo dell’art. 13 richiede per il riconoscimento del diritto all’assegno di assistenza che 1’invalido civili abbia una “età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno”, che nei suoi “confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento”, “che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste”.
Al secondo comma è poi imposto l’obbligo per l’invalido “attraverso dichiarazione sostitutiva, resa annualmente all’INPS ai sensi dell’art. 46 e segg. del testo unico di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445” di autocertificare di non svolgere attività lavorativa. Qualora poi tale condizione venga meno, l’invalido è tenuto a darne tempestiva comunicazione all’INPS.
Da quanto esposto consegue che nel regime della legge n. 247 del 2007 (a decorrere dal 1.1.2008) “il mancato svolgimento di attività lavorativa costituisce elemento costitutivo del diritto all’assegno di assistenza la cui prova, peraltro, non può essere fornita in giudizio mediante mera dichiarazione dell’interessato, anche se rilasciata con le formalità previste dalla legge per le autocertificazioni (Cass. 20 dicembre 2010, n. 25800; id. 11 febbraio 2011, n. 3552; 28 agosto 2013, n. 19833; 3 marzo 2014, n. 4942 e anche 16 ottobre 2014 n. 21888).
La Suprema Corte, tornando all’esame del caso di specie sottolinea che dalla data di presentazione della domanda amministrativa (5.10.2005) a quella di proposizione del ricorso giudiziario (7.7.2008) il quadro normativo da considerare è variato nei termini sopra indicati e di tanto doveva tenere conto la Corte di appello nel verificare la sussistenza dei requisiti socio economici necessari ai fini del riconoscimento della prestazione.
Se infatti nel periodo dalla presentazione della domanda amministrativa alla data di entrata in vigore della legge n. 247 del 2007 più volte richiamata il requisito da considerare era quello della “incollocazione”, nel periodo successivo al 1. 1. 2008 (comunque antecedente la proposizione della domanda giudiziaria) andava verificata l’avvenuta allegazione e prova dello stato di non occupazione
della ricorrente.
Dalla lettura della sentenza – prosegue la Suprema Corte – si evince, al contrario, che la Corte territoriale si è limitata a verificare l’esistenza dello stato di incollocato senza prendere affatto in considerazione, per il periodo successivo al 1.1.2008, il diverso requisito della non occupazione.
Da qui l’accoglimento del primo motivo del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata ed il conseguente rinvio alla Corte di appello di Messina in diversa composizione che rinnoverà l’indagine sulla sussistenza del requisito socio economico per il conseguimento dell’assegno di invalidità civile tenendo conto del quadro normativo in base al quale dall’entrata in vigore della L. n. 68 del 1999 e sino a quando la L. n. 247 del 2007 ha trasformato il requisito occupazionale (da incollocazione al lavoro in mera mancanza di occupazione), il disabile che richiede l’assegno d’invalidità civile deve provare non solo di non aver lavorato, ma anche di essersi attivato per essere avviato al lavoro nelle forme riservate ai disabili, mentre nel periodo successivo (dal 1.1.2008) dovrà provare solo il suo stato di non occupazione.
Al secondo comma è poi imposto l’obbligo per l’invalido “attraverso dichiarazione sostitutiva, resa annualmente all’INPS ai sensi dell’art. 46 e segg. del testo unico di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445” di autocertificare di non svolgere attività lavorativa. Qualora poi tale condizione venga meno, l’invalido è tenuto a darne tempestiva comunicazione all’INPS.
Da quanto esposto consegue che nel regime della legge n. 247 del 2007 (a decorrere dal 1.1.2008) “il mancato svolgimento di attività lavorativa costituisce elemento costitutivo del diritto all’assegno di assistenza la cui prova, peraltro, non può essere fornita in giudizio mediante mera dichiarazione dell’interessato, anche se rilasciata con le formalità previste dalla legge per le autocertificazioni (Cass. 20 dicembre 2010, n. 25800; id. 11 febbraio 2011, n. 3552; 28 agosto 2013, n. 19833; 3 marzo 2014, n. 4942 e anche 16 ottobre 2014 n. 21888).
La Suprema Corte, tornando all’esame del caso di specie sottolinea che dalla data di presentazione della domanda amministrativa (5.10.2005) a quella di proposizione del ricorso giudiziario (7.7.2008) il quadro normativo da considerare è variato nei termini sopra indicati e di tanto doveva tenere conto la Corte di appello nel verificare la sussistenza dei requisiti socio economici necessari ai fini del riconoscimento della prestazione.
Se infatti nel periodo dalla presentazione della domanda amministrativa alla data di entrata in vigore della legge n. 247 del 2007 più volte richiamata il requisito da considerare era quello della “incollocazione”, nel periodo successivo al 1. 1. 2008 (comunque antecedente la proposizione della domanda giudiziaria) andava verificata l’avvenuta allegazione e prova dello stato di non occupazione
della ricorrente.
Dalla lettura della sentenza – prosegue la Suprema Corte – si evince, al contrario, che la Corte territoriale si è limitata a verificare l’esistenza dello stato di incollocato senza prendere affatto in considerazione, per il periodo successivo al 1.1.2008, il diverso requisito della non occupazione.
Da qui l’accoglimento del primo motivo del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata ed il conseguente rinvio alla Corte di appello di Messina in diversa composizione che rinnoverà l’indagine sulla sussistenza del requisito socio economico per il conseguimento dell’assegno di invalidità civile tenendo conto del quadro normativo in base al quale dall’entrata in vigore della L. n. 68 del 1999 e sino a quando la L. n. 247 del 2007 ha trasformato il requisito occupazionale (da incollocazione al lavoro in mera mancanza di occupazione), il disabile che richiede l’assegno d’invalidità civile deve provare non solo di non aver lavorato, ma anche di essersi attivato per essere avviato al lavoro nelle forme riservate ai disabili, mentre nel periodo successivo (dal 1.1.2008) dovrà provare solo il suo stato di non occupazione.
Una breve riflessione
La decisione in rassegna appare interessante non tanto per i principi che ribadisce, non certo nuovi, quanto invece perché affronta la tematica dei requisiti socio economici prendendo in considerazione un lasso temporale che è iniziato sotto il vigore di una normativa e si è poi protratto sotto il vigore di una diversa normativa successiva.
Ed in effetti, la conclusione alla quale perviene la Suprema Corte è la “frazionabilità” delle varie normative succedutesi nel tempo.
Fino al primo gennaio 2008, vigente la vecchia normativa, l’inabile doveva fornire una prova più rigorosa, che non ammetteva equipollenti, ovverossia il suo stato di incollocamento. A partire da tale data deve fornire lo stato di inoccupazione.
Dunque, nel caso in cui il periodo interessato dalla domanda copra più normative, il giudice non ne può prendere in considerazione una sola, ma deve verificare la sussistenza dei requisiti rispetto a ciascuna normativa ratione temporis applicabile.
Ed in effetti, la conclusione alla quale perviene la Suprema Corte è la “frazionabilità” delle varie normative succedutesi nel tempo.
Fino al primo gennaio 2008, vigente la vecchia normativa, l’inabile doveva fornire una prova più rigorosa, che non ammetteva equipollenti, ovverossia il suo stato di incollocamento. A partire da tale data deve fornire lo stato di inoccupazione.
Dunque, nel caso in cui il periodo interessato dalla domanda copra più normative, il giudice non ne può prendere in considerazione una sola, ma deve verificare la sussistenza dei requisiti rispetto a ciascuna normativa ratione temporis applicabile.