“Tenuto conto che, ai sensi dell’art. 833 cod. civ., integra atto emulativo esclusivamente quello che sia obiettivamente privo di alcuna utilità per il proprietario ma dannoso per altri, è legittima e non configura abuso del diritto la pretesa del condomino al ripristino dell’impianto di riscaldamento centralizzato soppresso dall’assemblea del condomini con delibera dichiarata illegittima, essendo irrilevanti sia la onerosità per gli altri condomini – nel frattempo dotatisi di impianti autonomi unifamiliari delle opere necessarie a tale ripristino sia l’eventuale possibilità per il condomino di ottenere eventualmente, a titolo di risarcimento del danno, il ristoro del costo necessario alla realizzazione di un impianto di riscaldamento autonomo”.
Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con sentenza n. 1209 del 22 gennaio 2016
Il caso
Una condomina, proprietaria di due unità immobiliari in un fabbricato, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale il Condominio dell’edificio esponendo che l’impianto di riscaldamento centralizzato era stato disattivato con delibera assembleare del 25 luglio 1991, dichiarata nulla dal Tribunale con sentenza confermata in sede di gravame e passata in cosa giudicata.
Ciò posto, la condomina chiedeva ordinarsi al Condominio convenuto l’immediato ripristino dell’impianto centralizzato di riscaldamento.
Le difese del condominio
Il Condominio si costituiva, eccependo l’intento esclusivamente emulativo dell’azione ex adverso intrapresa, atteso che nelle more tutti condomini, compresa la condomina in questione, si erano dotati di impianto autonomo di riscaldamento. Pertanto, chiedeva il rigetto della domanda attrice.
La sentenza del Tribunale
Con sentenza n. 5 del 9-1-2006 il Tribunale, qualificando di natura possessoria la domanda, l’accoglieva, ordinando al convenuto di reintegrare immediatamente la condomina nel possesso dell’impianto di riscaldamento centralizzato, mediante il ripristino.
La sentenza della Corte di appello
Con sentenza depositata il 30 dicembre 2010 la Corte di appello di Bari, in riforma della sentenza impugnata dal convenuto, rigettava la domanda proposta dall’attrice.
Le ragioni della decisione della Corte di appello
Dopo avere premesso la natura petitoria e non possessoria dell’azione di ripristino dell’impianto disattivato a seguito di delibera condominiale dichiarata nulla, i Giudici di secondo grado ritenevano la natura emulativa della richiesta avanzata dall’attrice. La sentenza, al riguardo, affermava che: non avendo l’attrice chiesto o comunque ottenuto la sospensione della delibera condominiale impugnata, i numerosi condomini dell’edificio, costituito da due corpi di fabbrica, si erano dotati di impianti autonomi di riscaldamento, ad eccezione della condomina in questione; l’impianto di riscaldamento centralizzato non avrebbe potuto essere ripristinato senza importanti ed onerose opere di trasformazione e adeguamento, posto che la centrale termica non rispettava i requisiti fondamentali ai fini della sicurezza, anche in considerazione della abusiva coesistenza tra impianto termico centralizzato e quello idrico. In proposito, i Giudici evidenziavano che, secondo quanto accertato dal consulente, non sarebbe stato possibile riattivare l’attuale impianto alimentato a gasolio con uno nuovo, in quanto mancavano le condizioni di sicurezza per garantire l’incolumità degli stessi inquilini e dei fabbricati limitrofi.
In sostanza, la necessità di rilevanti e radicali opere di trasformazione, fra cui in primo luogo la separazione dell’impianto per la produzione dell’acqua calda – secondo i giudici della Corte di appello, avrebbe comportato la spesa di somme oscillanti fra i 173.500,00 e 251.500,00 euro, esclusi i costi per la messa a norma della centrale termica, oltre agli altri disagi e spese per la installazione degli impianti per la produzione di acqua calda in ogni singolo appartamento e la spesa di un combustibile, il gasolio, più oneroso del metano.
Secondo i Giudici la pretesa azionata configurava l’abuso del diritto, potendo la condomina trovare legittimo ristoro nella tutela risarcitoria; richiamata la evoluzione normativa diretta a incentivare la trasformazione degli impianti di riscaldamento centralizzati in quelli autonomi, si affermava che vi sarebbe stata sproporzione fra l’utile conseguibile dall’attrice con il ripristino e quello imposto alla quasi totalità dei condomini, posto che la medesima avrebbe potuto dotarsi di impianto autonomo unifamiliare con adeguato ristoro per le spese al riguardo occorrenti, mentre sarebbe stato particolarmente oneroso per gli altri condomini ripristinare un impianto obsoleto e non il linea con le politiche di risparmio energetico e con le condizioni di sicurezza.
Da qui il ricorso per cassazione della condomina, al quale resiste con controricorso l’intimato.
I motivi del ricorso per cassazione.
- Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. censura la sentenza per avere applicato la categoria dell’abuso del diritto a una fattispecie diversa da quelle – in materia contrattuale – alle quali fa riferimento la giurisprudenza della S. C. richiamata dai Giudici. Deduce che in ogni caso, fra i presupposti dell’abuso del diritto, vi è la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate, che vanno sempre ricondotte alla tutela della posizione sostanziale corrispondente al diritto in oggetto. Nella specie, a seguito dell’annullamento della delibera condominiale – che aveva immediatamente disposto l’attuazione della trasformazione dell’impianto centralizzato mentre all’ordine del giorno si era fatto riferimento all’avvio del percorso diretto alla trasformazione in impianti autonomi unifamiliari – l’unica modalità per eliminare le conseguenze illegittime della dichiarata illegittimità della innovazione era rappresentata dal ripristino.
- Il secondo motivo, lamentando omessa o insufficiente motivazione, denuncia la lacunosa considerazione delle risultanze tecniche laddove non erano state esaminate o erano state travisate le circostanze e le valutazioni di cui alla consulenza tecnica, la quale aveva evidenziato la fattibilità e la convenienza economica del ripristino dell’impianto centralizzato nonchè la illegittimità degli impianti unifamiliari realizzati dai condomini in violazione delle prescrizioni di legge
- Il terzo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui alla legge n.10 del 1991, denuncia la illegittimità degli impianti riscaldamento autonomo unifamiliari realizzati dai condomini con rischio per la salute ed illegittimità amministrativamente sanzionata: il Giudice aveva comparato un presunto esercizio abusivo con l’esigenza, ritenuta prevalente, di tutelare una posizione nient’affatto meritevole di tutela.
- Il quarto motivo censura la sentenza laddove, dando rilevanza alla mancata sospensione della esecutività della delibera, che peraltro era stata chiesta e non concessa, non aveva verificato se fosse ispirata a buona fede e correttezza la condotta tenuta da controparte che avrebbe potuto sanare la delibera illegittima riconvocando la assemblea su un ordine del giorno correttamente formulato per l’adozione degli accorgimenti tecnici necessari per attuare il passaggio a un sistema di impianti di riscaldamento unifamiliari.
Le ragioni della decisione della Suprema Corte.
Secondo la Corte regolatrice, vertendosi in tema di proprietà ovvero di comproprietà di un bene condominiale, la (denunciata) antigiuridicità della condotta posta in essere dall’attrice andava verificata con riferimento alla previsione di cui all’art. 833 cod. civ., secondo cui il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri.
La norma di cui all’articolo 833 codice civile
La norma – proseguono gli Ermellini – ha la finalità di assicurare che l’esercizio del diritto di proprietà risponda alla funzione riconosciuta al titolare dall’ordinamento, impedendo che i poteri e le facoltà dal medesimo esercitate si traducano in atti privi di alcun interesse per il proprietario ma che, per le modalità con cui sono posti in essere, abbiano l’effetto di recare pregiudizio ad altri: in sostanza, l’atto deve essere obiettivamente privo di alcuna utilità per il proprietario ma di per sè idoneo ad arrecare danno a terzi, dovendo poi il requisito del c.d. animus nocendi essere accertato alla stregua della condotta, quale si è esteriorizzata in concreto, e da cui possa trarsi inequivocabilmente la prova dell’ assenza di interesse per il proprietario di compiere un atto pregiudizievole ai terzi.
Non può ritenersi emulativo l’atto che comunque risponda a un interesse del proprietario.
Pertanto – secondo i giudici di piazza Cavour – non può ritenersi emulativo l’atto che comunque risponda a un interesse del proprietario, dovendo escludersi che il giudice possa compiere una valutazione comparativa discrezionale fra gli interessi in gioco ovvero formulare un giudizio di meritevolezza e di prevalenza fra l’interesse del proprietario e quello di terzi.
Per i giudici di legittimità, nella specie, il diritto al ripristino dell’Impianto di riscaldamento rispondeva all’utilità della condomina di potere usufruire di un servizio comune che era stato illegittimamente disattivato dall’assemblea dei condomini che, proprio in attuazione di tale illegittima delibera, si erano poi dotati di impianto autonomo.
La sentenza di appello ha erroneamente ritenuto la sussistenza dell’abuso del diritto.
Secondo gli Ermellini, la sentenza, nel ritenere nella specie l’abuso del diritto da parte dell’attrice, ha erroneamente fatto riferimento, da un lato, alla natura e all’entità delle opere di radicale trasformazione che si sarebbero necessarie per il ripristino dell’impianto (quando ormai tutti gli altri condomini si erano dotati di impianto unifamiliare) – ovvero alla onerosità del ripristino – e, dall’altro, alla circostanza che l’attrice avrebbe potuto dotarsi di un impianto unifamiliare (e chiedere il risarcimento del danno determinato dai costi e dai disagi): in tal modo – proseguono i giudici di piazza Cavour – ha ravvisato l’abuso del diritto formulando un inammissibile giudizio di proporzionalità fra l’utilità conseguibile dalla condomina e l’onerosità che ne sarebbe derivata ai condomini.
Da qui l’accoglimento del ricorso e la formulazione del seguente
principio di diritto:
“Tenuto conto che, ai sensi dell’art. 833 cod. civ., integra atto emulativo esclusivamente quello che sia obiettivamente privo di alcuna utilità per il proprietario ma dannoso per altri, è legittima e non configura abuso del diritto la pretesa del condomino al ripristino dell’impianto di riscaldamento centralizzato soppresso dall’assemblea del condomini con delibera dichiarata illegittima, essendo irrilevanti sia la onerosità per gli altri condomini – nel frattempo dotatisi di impianti autonomi unifamiliari delle opere necessarie a tale ripristino sia l’eventuale possibilità per il condomino di ottenere eventualmente, a titolo di risarcimento del danno, il ristoro del costo necessario alla realizzazione di un impianto di riscaldamento autonomo”.
Una breve riflessione
Interessantissima sentenza sull’abuso del diritto. La Corte di legittimità risolve un caso di asserito abuso del diritto (accertato dalla sentenza della Corte territoriale che viene così annullata) escludendolo. Viene in rilievo la considerazione che, nella specie, non integra atto emulativo quello da cui derivi una utilità per il proprietario.
La Suprema Corte censura il ragionamento della Corte territoriale che aveva effettuato un bilanciamento degli interessi della condomina (attrice) con quelli di tutti gli altri condomini. In altre parole, secondo i giudici di legittimità, deve escludersi che il giudice possa compiere una valutazione comparativa discrezionale fra gli interessi in gioco ovvero formulare un giudizio di meritevolezza e di prevalenza fra l’interesse del proprietario e quello di terzi qualora, come sopra detto, l’atto corrisponda ad un interesse del proprietario (e quindi per ciò solo non possa considerarsi emulativo).
Una decisione che, nell’escludere la ricorrenza di una ipotesi di abuso del diritto a carico della condomina vittoriosa nel giudizio di annullamento della delibera condominiale, ristabilisce l’ordine giuridico a suo tempo violato.
La Suprema Corte lancia un monito a tutela dell’autorità delle decisioni giudiziarie ed evita che una situazione “irregolare” possa essere sanata a danno di un proprietario che, invece, vuole esercitare i propri diritti.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
managing partner at clouvell (www.clouvell.com)