L’abbandono della casa coniugale costituisce violazione di uno dei fondamentali doveri coniugali, quello della coabitazione, sanzionato ai sensi dell’art. 146 c.c., con la sospensione del diritto all’assistenza morale e materiale, e costituisce normalmente di per sé causa di addebito, a meno che non risulti che esso sia stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge o sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si era già manifestata.
Il caso
Nel corso di un giudizio di separazione, il marito formulava domanda di addebito della separazione a carico della moglie per avere costei abbandonato la casa coniugale.
La richiesta di addebito deve essere formulata con domanda specifica in quanto riposa su specifiche ragioni distinte da quelle che giustificano la pronuncia della separazione.
Secondo il Tribunale, riguardo la domanda di addebito formulata dal resistente, “pur essendo la obiettiva impossibilità di continuare la convivenza il presupposto fondamentale per la separazione personale dei coniugi, nondimeno, l’esistenza di comportamenti contrari ai doveri coniugali acquista rilievo, ai sensi del 2° comma dell’art. 151 c.c., al fine della pronuncia di addebito, ove venga formulata apposita domanda dalla parte interessata”.
Quando ricorrono i presupposti per la pronunzia di addebito.
La dottrina dominante e la costante giurisprudenza della Suprema Corte hanno sottolineato che il legislatore ha voluto in tal modo attribuire rilievo, in modo autonomo rispetto alla pronuncia di separazione (vedi in tal senso Cass. civ. sez. un. 3.12.2001 n. 15248), alla presenza di situazioni di grave colpa di uno dei coniugi, derivanti da violazioni notevoli e coscienti dei doveri matrimoniali, che abbiano costituito la causa della intollerabilità della convivenza.
Non basta la mera inosservanza dei doveri ex art. 143 c.c. per la pronunzia di addebito.
Secondo il Tribunale, l’addebito non è fondato sulla mera inosservanza dei doveri che l’art. 143 c.c. pone a carico dei coniugi, ma sulla effettiva incidenza di detta violazione nel determinarsi della situazione di intollerabilità della convivenza (Cass. 20.12.1995 n. 13021; Cass. 12.01.2000 n. 279).
A tal proposito, va osservato che l’abbandono della casa familiare costituisce violazione di uno dei fondamentali doveri coniugali, quello della coabitazione, sanzionato ai sensi dell’art. 146 c.c., con la sospensione del diritto all’assistenza morale e materiale, e costituisce normalmente di per sé causa di addebito, a meno che non risulti che esso sia stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge o sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si era già manifestata (Cass. civ., sez. I, 10.06.2005, n. 12373; Cass. 11.08.2000, n.627; Cass. 29.10.1997 n. 10648).
Infatti – prosegue il Tribunale – l’art. 146 c.c. dispone che “il diritto all’assistenza morale e materiale è sospeso nei confronti del coniuge che, allontanatosi senza giusta causa dalla residenza familiare, rifiuta di tornarvi» (comma 1) e che «la proposizione della domanda di separazione o di annullamento o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio costituisce giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare» (comma 2)”.
La giurisprudenza di legittimità ha, pertanto, ritenuto che il legislatore, avendo individuato specificamente un’ipotesi di giusta causa dell’abbandono, abbia presupposto che questo non concreta violazione di obbligo matrimoniale se è stato determinato da una giusta causa» (Cass. 26.01.2006 n. 1202).
Pertanto, se l’abbandono della casa coniugale, come nella specie oggetto di cognizione del Tribunale, è avvenuto quando già i coniugi non andavano d’accordo e il rapporto coniugale era in crisi da molto tempo, non si può ritenere che tale abbandono abbia avuto efficacia causale decisiva nel determinare la separazione essendo intervenuto in un contesto di disgregazione della comunione spirituale e materiale, vale a dire in una situazione già irrimediabilmente compromessa (Cass. civ. 27.06.2013 n. 16285). E ciò a prescindere dalla assenza di specifiche colpe in capo al coniuge “abbandonato”.
In conclusione.
Va esclusa la pronuncia di addebito se, al tempo dell’abbandono della casa coniugale sussisteva “una situazione di deterioramento dei legami coniugali di per sé incompatibile con la protrazione della convivenza, ovvero tale da non rendente esigibile la pretesa della coabitazione» (Cass. 05.02.2008 n. 1740)”.
Una breve riflessione
Una pronunzia, quella in argomento, in linea con l’orientamento della Suprema Corte.
L’elemento di discrimine tra la sussistenza o l’esclusione dell’addebito riposa tanto su una consecutio temporale quanto su un consecutio causale.
L’abbandono della casa coniugale deve, in sostanza, essere la conseguenza di una pregressa intollerabilità della convivenza (affinchè sia esclusa la pronunzia di addebito) e non, viceversa, essa stessa costituire la causa del deterioramento dei rapporti.
Il determinismo causale tra l’abbandono della casa coniugale ed il deterioramento irreparabile dei rapporti è il cuore dell’argomento affrontato dalla sentenza del Tribunale.
Di particolare rilievo è la circostanza che non ogni violazione ai doveri nascenti dal matrimonio comporta, automaticamente, la pronunzia di addebito.
La richiesta di separazione e la richiesta di addebito devono essere sorrette da due domande specifiche, distinte l’una dall’altra, così come distinte sono le ragioni che giustificano l’accoglimento o il rigetto dell’uno e dell’altra.
L’orientamento giurisprudenziale evidenziato si rivela particolarmente utile in una materia delicata e difficile come quella familiare, allorquando le deteriorate vicende coniugali fanno perdere immediatamente di vista “chi” dei due coniugi ha violato per primo i doveri nascenti dal matrimonio. In ambito familiare, in genere, i coniugi arrivano a valutare una separazione quando già il rapporto è logoro. In quel momento, a volte, può risultare difficile valutare e provare chi ha ragione e chi ha torto, quale dei due coniugi possa considerarsi responsabile del fallimento del rapporto coniugale.
Ecco allora che, in tale momento, ciascun coniuge potrebbe essere tentato dal richiedere una pronunzia di addebito all’altro coniuge al solo scopo di costringerlo ad accettare le sue pretese.
La sentenza in argomento costituisce un monito: non ogni violazione, ancorchè sussistente, costituisce una causa legittimante la pronunzia di addebito.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
managing partner at clouvell (www.clouvell.com)