Lo ha stabilito la Corte di Cassazione civile a sezioni unite con sentenza 19/01/2015 n.735 che ha espresso il seguente principio di diritto: “L’illecito spossessamento del privato da parte della p.a. e l’irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un’opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all’acquisto dell’area da parte dell’Amministrazione ed il privato ha diritto a chiederne la restituzione salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno. Il privato, inoltre, ha diritto al risarcimento dei danni per il periodo, non coperto dall’eventuale occupazione legittima, durante il quale ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal terreno e ciò sino al momento della restituzione ovvero sino al momento in cui ha chiesto il risarcimento del danno per equivalente, abdicando alla proprietà del terreno. Ne consegue che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente”.
La vicenda
Il giudizio in questione risale al lontano 1968, anno in cui un soggetto vocava in giudizio un Comune chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti per l’illegittima occupazione di un terreno, sul quale era stato realizzato un edificio scolastico, e ciò in considerazione del fatto che la occupazione era divenuta illegittima poichè il decreto di esproprio non era intervenuto nel biennio successivo. Il Tribunale rigettava la domanda per intervenuta prescrizione del diritto. La sentenza di primo grado confermava la decisione del giudice di primo grado osservando che: 1) il termine quinquennale di prescrizione decorreva dalla irreversibile trasformazione del terreno, verificatasi nel 1960 con la realizzazione dell’edificio scolastico; 2) non erano incompatibili con la volontà di proporre l’eccezione di prescrizione e, quindi, non implicavano rinuncia alla detta eccezione i seguenti atti posti in essere dal Comune: la determinazione, l’offerta e il deposito dell’indennità; la lettera del sindaco del 19 marzo 1984 che comunicava alle B. l’intenzione di risolvere bonariamente le vicende degli espropri e delle occupazioni dei suoli; la delibera di procedere all’acquisto oneroso del terreno adottata in data 8 febbraio 1990 dal commissario prefettizio; infine, il contratto di compravendita firmato il 9 febbraio 1990 dalle parti in causa e rimasto ineseguito per mancanza di finanziamento.
Avverso tale decisione gli eredi dell’originario proprietario proponevano ricorso per cassazione, deducendo due motivi.
La questione approdava all’esame delle sezioni unite in quanto per le occupazioni anteriori all’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, si registra un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.
Il primo orientamento.
Difatti, secondo un primo orientamento si deve applicare l’istituto dell’occupazione espropriativa, configurata come illecito istantaneo con effetti permanenti, ed attribuisce al proprietario l’intero controvalore del bene espropriato.
Il secondo orientamento.
Secondo altro orientamento, invece, non si può più fare applicazione dell’istituto dell’occupazione espropriativa sia perchè tale istituto realizza una non consentita espropriazione indiretta, secondo quanto affermato dalle sentenze in materia della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, sia perchè l’incompatibile istituto della acquisizione sanante, di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis, è applicabile ad ogni occupazione illecita, anche se anteriore all’entrata in vigore del detto t.u. Pertanto, in forza di tale ultimo orientamento, “il soggetto che subisce una occupazione illegittima resta titolare del bene occupato e può chiedere il risarcimento dei danni da illecito permanente, pur se perde in radice il diritto di ottenere il controvalore dell’immobile rimasto nella sua titolarità”.
I motivi del ricorso.
“Con il primo motivo le ricorrenti deducono la violazione dell’art. 1 del protocollo addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 10 Cost., lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva fatto applicazione dell’istituto dell’accessione invertita ritenuto non conforme al principio di legalità dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo; di conseguenza, dovendosi escludere l’acquisto della proprietà da parte del convenuto per effetto dell’irreversibile trasformazione, si doveva anche escludere la decorrenza da quest’ultima del diritto al risarcimento del danno, che discendeva da un illecito permanente, quale doveva appunto considerarsi l’occupazione illegittima di un terreno da parte di un ente pubblico”.
“Con il secondo motivo le ricorrenti deducono la violazione dell’art. 2937 c.c., nonchè il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello aveva erroneamente escluso la rinuncia tacita del Comune ad avvalersi della prescrizione, malgrado lo stesso avesse posto in essere atti chiaramente incompatibili con la proposizione dell’eccezione di prescrizione, quali l’offerta ed il deposito dell’indennità di esproprio e le trattative per il componimento bonario della controversia”.
Secondo le sezioni unite il primo motivo di ricorso “è fondato con conseguente assorbimento del secondo motivo”.
Il ragionamento seguito dalla Corte a proposito della occupazione acquisitiva, istituto di creazione giurisprudenziale.
Secondo un primo orientamento il privato restava proprietario del bene occupato ed aveva diritto soltanto al risarcimento del danno determinato dalla perdita di utilità ricavabili dalla cosa e restava altresì soggetto alla tardiva sopravvenienza del decreto di espropriazione, ritenuto idoneo a ricollocare la fattispecie su un piano di legittimità con l’attribuzione al privato soltanto di un indennizzo (all’epoca non commisurato al valore venale del bene) (e plurimis Cass. 2 giugno 1977, n. 2234; Cass. 26 settembre 1978, n. 4323).
Secondo un successivo orientamento, nel caso di di una occupazione protrattasi oltre i previsti termini di occupazione legittima e contrassegnata dalla irreversibile trasformazione del fondo per la costruzione di un’opera dichiarata di pubblica utilità comportava l’acquisto a titolo originario in capo alla pubblica amministrazione della proprietà del suolo illegittimamente occupato e trasformato e l’obbligo dell’amministrazione occupante di risarcire integralmente il danno arrecato, sulla base, almeno sino all’entrata in vigore del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, del valore venale del bene.
La giurisprudenza successiva ha dovuto fare i conti con la compatibilità dell’istituto dell’occupazione acquisitiva con l’art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte EDU.
Difatti, come è noto, la Corte di Strasburgo ha censurato le forme di “espropriazione indiretta” elaborate nell’ordinamento italiano anche e soprattutto in sede giurisprudenziale (come nel caso dell’occupazione acquisitiva) e le ha configurate come illecito permanente perpetrato nei confronti di un diritto fondamentale dell’uomo, garantito dall’art. 1 citato, senza che alcuna rilevanza possa assumere in contrario il dato fattuale dell’intervenuta realizzazione di un’opera pubblica sul terreno interessato, affermando che l’acquisizione del diritto di proprietà non può mai conseguire a un illecito (v., tra le tante, le sentenze Carbonara & Ventura c. Italia, 30 maggio 2000; Scordino c. Italia, 15 e 29 luglio 2004; Acciardi c. Italia, 19 maggio 2005; De Angelis c. Italia, 21 dicembre 2006; Pasculli c. Italia, 4 dicembre 2007). In un’altra sentenza (Scordino c. Italia n. 3, 6 marzo 2007) la Corte di Strasburgo ha affermato che “lo Stato dovrebbe, prima di tutto, adottare misure tendenti a prevenire ogni occupazione fuori legge dei terreni, che si tratti d’occupazione sine titulo dall’inizio o di occupazione inizialmente autorizzata e divenuta sine titulo successivamente… Inoltre lo Stato convenuto deve scoraggiare le pratiche non conformi alle norme delle espropriazioni lecite, adottando disposizioni dissuasive e ricercando le responsabilità degli autori di tali pratiche. In tutti i casi in cui un terreno è già stato oggetto d’occupazione senza titolo ed è stato trasformato in mancanza di decreto d’espropriazione, la Corte ritiene che lo Stato convenuto dovrebbe eliminare gli ostacoli giuridici che impediscono sistematicamente e per principio la restituzione del terreno” (il medesimo concetto è espresso nella sentenza Carletta c. Italia, 15 luglio 2005. “il meccanismo dell’espropriazione indiretta permette in generale all’amministrazione di passare oltre le regole fissate in materia di espropriazione, col rischio di un risultato imprevedibile o arbitrario per gli interessati, che si tratti di un’illegalità dall’inizio o di un’illegalità sopraggiunta in seguito”). La Corte Europea (v. anche le sentenze Sciarrotta c. Italia, 12 gennaio 2006; Serrao c. Italia, 13 gennaio 2006; Dominici c. Italia, 15 febbraio 2006; Sciselo c. Italia, 20 aprile 2006; Cerro s.a.s. c. Italia, 23 maggio 2006) si dice anche “convinta che l’esistenza in quanto tale di una base legale non basti a soddisfare il principio di legalità”, non potendo l’espropriazione indiretta comunque costituire un’alternativa ad un’espropriazione “in buona e dovuta forma”.
Le sentenze della Suprema Corte di cassazione successive alle pronunzie della CEDU.
Contrariamente a quanto si potrebbe ritenere, anche dopo le pronunzie della CEDU, la Corte di Cassazione non ha “abbandonato” l’istituto dell’occupazione acquisitiva, ma ha cercato di superare i punti di criticità della disciplina dell’istituto rispetto ai principi affermati dalla Convenzione EDU.
In questa prospettiva si collocano, anzitutto, le decisioni tese ad affermare la compatibilità dell’istituto dell’occupazione acquisitiva con il principio sancito dall’art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (Cass. s.u. 14 aprile 2003, n. 5902; Cass. s.u. 6 maggio 2003, n. 6853). Altre decisioni si sono preoccupate di fissare il dies a quo del termine di prescrizione nel momento dell’emersione certa a livello legislativo dell’istituto e cioè a partire dalla legge n. 458/1988, ritenendo in tal modo soddisfatto il necessario ossequio al principio di legalità affermato in materia dalla Corte EDU (Cass. 28 luglio 2008, n. 20543; Cass. 5 ottobre 21203; Cass. 22 aprile 2010, n. 9620; Cass. 26 maggio 2010, n. 12863; Cass. 26 marzo 2013, n. 7583; Cass. 18 settembre 2013, n. 21333).
Su tale solco si collocano le decisioni che hanno attribuito rilievo, ai fini dell’interruzione della prescrizione del diritto al risarcimento del danno, all’offerta ed al deposito dell’indennità di espropriazione (Cass. 16 gennaio 2013, n. 923) ovvero alla richiesta di versamento del prezzo di una progettata cessione volontaria del fondo e alla richiesta dell’indennità di occupazione (Cass. 14 febbraio 2008, n. 3700).
Infine, per mitigare il rischio prescrizione, si è affermato che “detto termine inizia a decorrere dal momento in cui il trasferimento della proprietà venga o possa essere percepito dal proprietario come danno ingiusto ed irreversibile sia che la relativa prova incombe sull’Amministrazione (Cass. 17 aprile 2014, n. 8965)”.
Si registrano tuttavia anche sentenze che tentano di superare l’istituto dell’occupazione acquisitiva (Cass. 14 gennaio 2013, n. 705 e Cass. 28 gennaio 2013, n. 1804) e ciò sul presupposto che la norma contenuta nel D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 42 bis, (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) “sia applicabile anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore e disciplini in modo esclusivo, e perciò incompatibile con l’occupazione acquisitiva, le modalità attraverso le quali, a fronte di un’utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse, è possibile – con l’esercizio di un potere basato su una valutazione degli interessi in conflitto – pervenire ad un’acquisizione non retroattiva della titolarità del bene al patrimonio indisponibile della P.A., sotto condizione sospensiva del pagamento, al soggetto che perde il diritto di proprietà, di un importo a titolo di indennizzo”.
Secondo le sezioni unite, però “si deve escludere che la questione della sopravvivenza o meno dell’istituto dell’occupazione acquisitiva per le fattispecie anteriori all’entrata in vigore del testo unico di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, possa essere decisa, come ritenuto dalle citate Cass. nn. 705/2013 e 1804/2013, l’argomento della retroattività dell’art. 42 bis, dello stesso D.P.R.. Al riguardo, si deve rammentare che l’articolo in questione è stato aggiunto dal D.L. n. 98 del 2011, art. 34, comma 1, dopo che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 293/2010, aveva dichiarato l’illegittimità, per eccesso di delega, dell’art. 43 del t.u., che aveva dettato una prima regolamentazione dell’acquisizione sanante” mentre “l’interpretazione logica suggerisce, tuttavia, un diverso approdo”.
In particolare, secondo le sezioni unite, “la c.d. accessione invertita rappresenta una eccezione rispetto alla normale disciplina degli effetti di una occupazione illegittima cui consegue ordinariamente il diritto del soggetto spossessato di richiedere la restituzione. Tale eccezione si fondava sulla esistenza, affermata in via interpretativa, di un principio generale, del quale sarebbero stati espressione l’art. 936 c.c. e ss., in base al quale, nel caso di opere fatte da un terzo su un terreno altrui, la proprietà sia del suolo sia della costruzione viene attribuita al soggetto portatore dell’interesse ritenuto prevalente, con la precisazione che il principio opera anche in caso di attività illecita posta in essere dalla P.A. e che quest’ultima deve essere individuata come il soggetto portatore dell’interesse prevalente quando viene realizzata un’opera dichiarata di pubblica utilità”.
Tale principio non può però più essere fatto valere alla luce della giurisprudenza della Corte EDU che ha fatto cadere il presupposto della possibilità di affermare in via interpretativa che da una attività illecita della P.A. possa derivare la perdita del diritto di proprietà da parte del privato. Dunque, ritorna ad applicarsi lo schema generale degli artt. 2043 e 2058 c.c., il quale non solo non consente l’acquisizione autoritativa del bene alla mano pubblica, ma attribuisce al proprietario, rimasto tale, la tutela reale e cautelare apprestata nei confronti di qualsiasi soggetto dell’ordinamento (restituzione, riduzione in pristino stato dell’immobile, provvedimenti di urgenza per impedirne la trasformazione ecc), oltre al consueto risarcimento del danno, ancorato ai parametri dell’art. 2043 c.c.: esattamente come sinora ritenuto per la c.d. occupazione usurpativa (e plurimis Cass. s.u. 19 maggio 1982; Cass. s.u. 4 marzo 1997, n. 1907; Cass. 12 dicembre 2001, n. 15710; Cass. 3 maggio 2005, n. 9173; Cass. 15 settembre 2005, n. 18239; Cass. s.u. 25 giugno 2009, n. 14886; Cass. 25 gennaio 2012, n. 1080).
Il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte a sezioni unite.
“Alla luce della costante giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, quando il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, l’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte dell’Amministrazione si configurano, indipendentemente dalla sussistenza o meno di una dichiarazione di pubblica utilità, come un illecito di diritto comune, che determina non il trasferimento della proprietà in capo all’Amministrazione, ma la responsabilità di questa per i danni. In particolare, con riguardo alle fattispecie già ricondotte alla figura dell’occupazione acquisitiva, viene meno la configurabilità dell’illecito come illecito istantaneo con effetti permanenti e, conformemente a quanto sinora ritenuto per la c.d. occupazione usurpativa, se ne deve affermare la natura di illecito permanente, che viene a cessare solo per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell’occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente”. Inoltre, “si deve escludere che il proprietario perda il diritto di ottenere il controvalore dell’immobile rimasto nella sua titolarità. Infatti, in alternativa alla restituzione, al proprietario è sempre concessa l’opzione per una tutela risarcitoria, con una implicita rinuncia al diritto dominicale sul fondo irreversibilmente trasformato (cfr. e plurimis, in tema di occupazione c.d. usurpativa, Cass. 28 marzo 2001, n. 4451 e Cass. 12 dicembre 2001, n. 15710); tale rinuncia ha carattere abdicativo e non traslativo: da essa, perciò, non consegue, quale effetto automatico, l’acquisto della proprietà del fondo da parte dell’Amministrazione (Cass. 3 maggio 2005, n. 9173; Cass. 18 febbraio 2000 n. 1814)”.
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