In tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, neppure nel caso in cui l’ente si sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa. Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa.
Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione terza civile – con ordinanza n. 21403 depositata il 30 agosto 2018
Il caso
La vicenda in esame scaturisce da contestazioni reciproche e, quindi, da un conseguente contenzioso, nell’ambito di contratto di factoring.
La Suprema Corte, dopo aver dichiarato procedibile il ricorso, affronta la sollevata eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata allegazione dei documenti comprovanti i poteri del procuratore speciale, eccezione sollevata dalla controricorrente solo nella memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ.
Al riguardo, gli Ermellini ribadiscono il principio di diritto consolidato secondo cui: «In tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, neppure nel caso in cui l’ente si sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa. Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa » (Cass. sez. un. n. 20596 del 2007).
Il rappresentante legale ha l’onere di indicazione ma non di dimostrazione.
In base a tale principio di diritto, si configura un onere di chi agisce qualificandosi come rappresentante legale della società persona giuridica di fornire l’indicazione della fonte del potere di rappresentanza legale, al quale non si accompagna il relativo onere di dimostrazione.
L’onere di contestazione delle controparte. L’onere della parte che si è vista contestata la procura.
Solo in presenza di detta indicazione – proseguono i giudici di Piazza Cavour – si configura l’onere di chi contesti l’esistenza del potete rappresentativo di dimostrare che l’allegazione non trova riscontro nella fonte indicata, in quanto soggetta a pubblicità legale. In mancanza di una indicazione di quella fonte, viceversa, non essendo stata la controparte messa in grado di procedere alla verifica della sussistenza del potere rappresentativo, deve ritenersi che di fronte alla contestazione di quest’ultimo, sia onere della parte che ha visto la sua rappresentanza contestata allegare e dimostrare quale sia l’atto da cui origina l’esercitato potere di rappresentanza legale, inerendo tale attività all’ammissibilità del ricorso.
La contestazione del potere di rappresentanza deve essere tempestiva
Nel caso di specie, rileva la Suprema Corte che l’azione è stata esercitata da un soggetto qualificatosi come direttore generale, munito dei necessari poteri giusta delibera consiliare in data 28 aprile 2015, e tanto non risulta essere stato contestato in controricorso – in modo da consentire alla ricorrente di replicare ed eventualmente dimostrare, tramite la relativa produzione documentale, a norma del secondo comma dell’art. 372 cod. proc. civ. – ma solo con la memoria. Di conseguenza, la contestazione in parola deve ritenersi intempestiva.
Da qui il rigetto del ricorso.
Una breve riflessione.
La Suprema Corte si richiama alla nota sentenza delle sezioni unite n. 20596 del 2007 ribadendone i principi ivi espressi.
In estrema sintesi:
- se la fonte dei poteri di rappresentanza è soggetta a pubblicità, allora chi agisce non ha l’onere di provare la sussistenza del potere, ma ha soltanto l’onere di indicarne la fonte in modo da consentire alla controparte le opportune verifiche;
- la controparte, a questo punto, è in condizione di effettuare le verifiche e se riscontra dei fatti diversi da come indicati, ha l’onere di contestarli in modo da consentire al rappresentante di replicare;
- se la fonte dei poteri di rappresentanza non è soggetta a pubblicità, allora chi agisce ha l’onere di provare la sussistenza di tale potere;
- in tale ultima ipotesi, la controparte che intende contestare la fonte del potere di rappresentanza, ha l’onere di contestazione;
- in tutte le ipotesi di contestazione, essa deve avvenire tempestivamente, in modo da poter consentire al titolare del potere di rappresentanza di poter replicare.
Nel caso di giudizio di cassazione, la contestazione deve dunque avvenire unitamente al controricorso, atteso che ove avvenisse, per ipotesi, come nella specie, in occasione della memoria ex art. 380 bis, non si darebbe la possibilità alla controparte di replicare.
Ma che qual è il significato da attribuire all’inciso secondo cui il giudice non è “tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa”.
Sembrerebbe, dunque, trattarsi, di una eccezione (quella che il convenuto ha l’onere di sollevare) in senso stretto. Se così è, occorre allora richiamare il principio espresso da Cass. 15712/2015 secondo cui “il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe sviato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto”.
Bisognerebbe pertanto chiedersi se la assenza di effettivo potere in capo al rappresentante processuale di una persona giuridica (in contrario a quanto dal medesimo affermato in giudizio), in assenza di contestazione (o di contestazione tardiva), possa precluderne sempre al giudice il rilievo ufficioso, anche nella ipotesi in cui il difetto di rappresentanza sia evincibile da atti del processo o da pubblici registri, e quindi senza necessità di particolari indagini. Dalla sentenza in rassegna, la risposta sembrerebbe essere positiva.
Avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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