“In materia di termini per l’impugnazione, la facoltà del ricorrente di presentare “motivi nuovi” o “aggiunti” incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, dei quali i motivi ulteriori devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate, ma risultando sempre ricollegabili ai capi ed ai punti già dedotti; ne consegue che sono ammissibili soltanto i “motivi nuovi” o “aggiunti” con i quali, a fondamento del petitum dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, non anche quelli con i quali si intenda allargare l’ambito del predetto petitum, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione”.
Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda penale – con sentenza n. 6031 del 27 gennaio 2016, depositata il 12 febbraio 2016
Il caso
Con sentenza in data 29.04.2008, il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Molfetta, dichiarava un imputato responsabile dei reati al medesimo ascritti e, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nonché del vincolo della continuazione, lo condannava alla pena di legge.
A seguito di proposto gravame, la Corte d’appello di Bari, previa declaratoria di non doversi procedere in relazione ad un capo per intervenuta prescrizione e rideterminazione del reato ascritto ad altro capo, dichiarato inammissibile il gravame in punto responsabilità, rideterminava la pena finale, sostituendo l’interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea per anni cinque e confermava nel resto della pronuncia di primo grado.
Da qui il ricorso per cassazione dell’imputato con cui egli si lamentava:
-violazione di legge ex art. 606 lett. c) cod. proc. pen. con riferimento al combinato disposto degli artt. 581 lett. c) e 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. (primo motivo);
-violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen. con riferimento all’art. 585, comma 4, cod. proc. pen. (secondo motivo).
In relazione al primo motivo, evidenziava il ricorrente come in sede di gravame d’appello, la parte non avesse omesso di rilevare, in punto di fatto, la carenza di prove e di risultanze processuali poste alla base dell’affermazione della penale responsabilità da parte del giudice di prime cure, indicando altresì come, in ragione di siffatta insufficienza probatoria, non fosse possibile ricostruire allo stato degli atti la condotta posta in essere dal prevenuto. Si era inoltre evidenziata l’impossibilità di individuare un contributo apprezzabile da parte dell’imputato nella presunta condotta illecita e non si era nemmeno raggiunta la prova dell’elemento psicologico: circostanze in fatto che avrebbero semmai dovuto risolversi in un rigetto del gravame e non invece in un giudizio di inammissibilità.
In relazione al secondo motivo, si censurava la valutazione operata dalla Corte territoriale in ordine ai c.d. motivi nuovi che tali invece non erano, essendosi la parte limitata a sviluppare le argomentazioni a sostegno del gravame rimanendo sempre nell’ambito delle parti o dei capi di sentenza originariamente impugnati.
La Suprema Corte ritiene il ricorso manifestamente infondato e, come tale, inammissibile.
La Suprema Corte riporta in motivazione il primo motivo di appello; evidenzia che con gli altri motivi di ricorso (secondo e terzo), l’imputato aveva invocato la concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza e la riduzione della pena inflitta, riservandosi, infine, con clausola di stile, la presentazione di motivi nuovi, nei termini, modi e forme di legge. Evidenzia inoltre che nei successivi motivi nuovi ex art. 585, comma 4 cod. proc. pen., la difesa dell’imputato aveva evidenziato ai giudici di secondo grado:
- -in relazione al capo A), come gli elementi costitutivi della condotta e del contegno dell’imputato non risultassero integrare, né sotto il profilo di diritto né di fatto, il reato di resistenza;
- -in relazione al capo B), come dalla ricostruzione in fatto offerta dal giudice di primo grado appariva evidente come il delitto contestato non si fosse perfezionato in alcuno degli elementi richiesti per la sua configurabilità, apparendo invece indubitabile come i beni di provenienza delittuosa fossero stati, piuttosto, diretto oggetto di furto da parte dell’imputato, e ciò evincendosi dal dato temporale e dalle modalità di rinvenimento dei beni da parte degli operanti, quindi sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo;
- -in relazione al capo C), come la condotta si fosse prescritta a far data dal 16.01.2011;
- -in relazione al capo D), come la detenzione di 1,779 grammi di cocaina con un principio attivo di 579,24 milligrammi non potesse ritenersi detenuta a fini di spaccio, avuto riguardo sia alla quantità che alla qualità della sostanza che con riferimento alle modalità e alle circostanze dell’azione.
La corte di appello dichiarava inammissibile l’appello in punto di responsabilità
A fronte di tali prospettazioni, la Corte d’appello dichiarava inammissibile l’appello in punto di responsabilità riconoscendo la mancata osservanza della disposizione dell’art. 581 lett. c) cod. proc. pen., così motivando: “ed invero dal contenuto dell’atto di impugnazione … emerge ictu oculi l’assoluta mancanza di specifiche indicazioni delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono il gravame a fronte dell’apparato motivazionale opposto dal giudice di prime cure laddove si argomenta esaurientemente in fatto ed in diritto (indicando e valutando i singoli elementi di prova da cui desumere la responsabilità penale del prevenuto in ordine a tutti i fatti di reato contestati). Per giurisprudenza costante dei giudici di legittimità (condivisa da questa Corte) a tal fine non possono sopperire le censure articolate specificamente nei motivi nuovi, dovendo gli stessi limitarsi ad ampliare argomentazioni già sviluppate con sufficiente specificità nell’atto di gravame. In caso contrario si eluderebbe il disposto normativo suindicato”.
E la Suprema Corte ritiene pienamente condivisibili tali osservazioni della Corte territoriale.
Ricordano gli Ermellini come per costante giurisprudenza di legittimità, i motivi nuovi di impugnazione devono essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall’impugnazione principale già presentata, essendo necessaria la sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari (cfr., ex multis, Sez. 6, sent. n. 45075 del 02/10/2014, dep. 30/10/2014, Sabbatini, Rv. 260666). Ciò in quanto la facoltà conferita al ricorrente dall’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., deve trovare necessario riferimento nei motivi principali e rappresentare soltanto uno sviluppo o una migliore e più dettagliata esposizione dei primi, anche per ragioni eventualmente non evidenziate in precedenza, ma sempre collegabili ai capi e punti già dedotti (Sez. 1, sent. n. 46950 del 02/11/2004, Sisic, Rv. 230181): ne consegue – prosegue la Corte regolatrice – che motivi nuovi ammissibili sono soltanto quelli coi quali, a fondamento del petitum già proposto nei motivi principali d’impugnazione, si alleghino ragioni “giuridiche” diverse da quelle originarie, non potendo essere ammessa l’introduzione di censure nuove in deroga ai termini tassativi entro i quali il ricorso va presentato.
Il contenuto dei motivi nuovi
Per i giudici di piazza Cavour, i motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono, pertanto, avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di impugnazione a norma dell’art. 581, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., rimanendo a tal fine irrilevante l’eventuale espressa indicazione di riserva di proposizione di motivi nuovi (Sez. 6, sent. n. 73 del 21/09/2011, dep. 04/01/2012, Aguì, Rv. 251780; Sez. 2, sent. n. 1417 del 11/102012, dep. 11/01/2013, P. civ. in proc. Platamone ed altro, Rv. 254301).
Il principio di diritto
Con l’occasione, la Suprema Corte ribadisce il seguente principio di diritto: “In materia di termini per l’impugnazione, la facoltà del ricorrente di presentare “motivi nuovi” o “aggiunti” incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, dei quali i motivi ulteriori devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate, ma risultando sempre ricollegabili ai capi ed ai punti già dedotti; ne consegue che sono ammissibili soltanto i “motivi nuovi” o “aggiunti” con i quali, a fondamento del petitum dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, non anche quelli con i quali si intenda allargare l’ambito del predetto petitum, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione”. Da qui l’inammissibilità (anche) del ricorso per cassazione.
Una breve riflessione
La sentenza in rassegna si sofferma sul vizio di aspecificità dell’atto di appello mettendo in relazione tale vizio con la presentazione dei motivi nuovi.
La tematica affrontata, in buona sostanza, è se la presentazione di motivi nuovi specifici possa “salvare” l’atto di appello dalla censura di aspecificità.
E la risposta fornita dalla Suprema Corte è negativa. I giudici di piazza Cavour ricordano qual è il perimetro dei motivi “nuovi” o “aggiunti” all’atto di impugnazione: non solo i motivi nuovi devono riguardare gli stessi capi oggetto dell’impugnazione principale (non potendo allargare il petitum), ma, pur se riguardano gli stessi capi, non possono sopperire al vizio di specificità di cui fosse affetta la medesima impugnazione principale.
Dunque, attenzione alla formulazione delle censure con l’atto di appello: la prescrizione di cui all’articolo 581 primo comma lett. c) c.p.p. deve essere assolta sin dall’atto di impugnazione principale.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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