“Avverso l’ordinanza pronunciata dal giudice d’appello ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c. è sempre ammissibile ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 comma 7 Cost. limitatamente ai vizi propri della medesima costituenti violazioni della legge processuale che risultino compatibili con la logica (e la struttura) del giudizio sotteso all’ordinanza in questione, dovendo in particolare escludersi tale compatibilità in relazione alla denuncia di omessa pronuncia su di un motivo di appello, attesa la natura “complessiva” del giudizio prognostico, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza nonché a tutti i motivi di ciascuna impugnazione, e potendo, in relazione al silenzio serbato in sentenza su di un motivo di censura, eventualmente porsi (nei termini e nei limiti in cui possa rilevare sul piano impugnatorio) soltanto un problema di motivazione”.
Lo ha affermato la Corte Suprema di Cassazione – Sezioni Unite Civili – con sentenza n. 1914 del 2 febbraio 2016
Le Sezioni Unite, con la sentenza citata, compongono il contrasto esistente in capo alle sezioni semplici riguardo alla impugnabilità dell’ordinanza ex art. 348-ter c.p.p.
Il primo orientamento
Secondo un primo orientamento espresso da Cass. n. 7273 del 2014, l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348 ter c.p.c. non è ricorribile per cassazione per difetto di definitività se emessa nell’ambito suo proprio, cioè per manifesta infondatezza nel merito, ma deve ritenersi ricorribile ove dichiari l’inammissibilità dell’appello per ragioni processuali, avendo in tal caso carattere definitivo e valore di sentenza.
L’opposto orientamento
Secondo l’opposto orientamento espresso da Cass. n. 8940 del 2014, il ricorso per cassazione, sia ordinario che straordinario, non è mai esperibile avverso l’ordinanza che dichiari l’inammissibilità dell’appello ex artt. 348 bis e ter c.p.c., a prescindere dalla circostanza che essa sia stata emessa nei casi in cui ne è consentita l’adozione ovvero al di fuori di essi, ostando, quanto all’esperibilità del ricorso straordinario, la non definitività dell’ordinanza, dovendosi valutare tale carattere con esclusivo riferimento alla situazione sostanziale dedotta in giudizio non anche a situazioni aventi mero rilievo processuale, quali il diritto a che l’appello sia deciso con ordinanza soltanto nei casi consentiti nonché al rispetto delle regole processuali fissate dagli articoli sopra richiamati.
I giudici delle Sezioni Unite evidenziano che alla stregua della disciplina risultante dagli artt. 348 bis e ter c.p.c. il soccombente che si è visto dichiarare inammissibile l’appello con l’ordinanza di cui all’art. 348 ter c.p.c., proponendo ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado non può ovviamente che dedurre motivi attinenti a quella decisione e non può quindi far valere censure riguardanti eventuali errores in procedendo commessi dal giudice d’appello, posto che per poter conseguire una pronuncia su tali eventuali errori l’unica possibilità sarebbe quella di impugnare il provvedimento che pone termine al procedimento di appello, ossia l’ordinanza declaratoria dell’inammissibilità dello stesso. Se tale ordinanza non fosse impugnabile non sarebbe perciò in alcun modo sindacabile la decisione che “nega” alla parte il giudizio d’appello, ossia l’impugnazione idonea a provocare un riesame della causa nel merito non limitato al controllo di vizi specifici ma inteso ad introdurre un secondo grado in cui il giudizio può essere interamente rinnovato non in funzione dell’esame della sentenza di primo grado ma come nuovo esame della controversia, sia pure nei limiti del proposto appello.
Peraltro – proseguono i giudici di piazza Cavour – lasciare che, senza alcun potenziale controllo, il giudice d’appello resti arbitro di decidere se la parte possa o meno fruire del giudizio di secondo grado potrebbe in prospettiva determinare una sorta di incontrollabile soppressione “di fatto” del giudizio d’appello, finendo in pratica per privare le parti di tale impugnazione anche oltre le ipotesi e i limiti previsti dal legislatore e per scaricare sulla Corte di cassazione questioni che (alla stregua della disciplina vigente, non contemplante una generalizzata ricorribilità “per saltum”) potrebbero e dovrebbero essere “filtrate” attraverso il giudizio d’appello, mentre la previsione della impugnabilità dell’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. ne faciliterebbe un utilizzo “fisiologico”, evitando possibili arbitrii ed ingiustificate disparità di trattamento. E ciò senza che in concreto si arrechi un aggravio particolarmente rilevante per la Corte di cassazione, se si pensa che la mera possibilità di impugnazione dell’ordinanza, scongiurando un (ipotetico) uso abnorme e incontrollato dell’istituto, potrebbe ridurre in prospettiva agguerrite, complesse ed “improprie” impugnazioni in cassazione della sentenza di primo grado, riguarderebbe in ogni caso ipotesi limitate e questioni di pronta soluzione -siccome esclusivamente riferibili ad alcuni vizi processuali propri dell’ordinanza- e potrebbe essere esaminata dalla Corte di cassazione -come nella specie- insieme alla eventuale impugnazione della sentenza di primo grado, in alcuni casi potendo la relativa decisione risultare “assorbente” rispetto all’esame di quest’ultima.
La Suprema Corte ammette dunque l’impugnabilità ex art. 111 Cost. dell’ordinanza suddetta per vizi propri consistenti in violazione della normativa processuale.
Gli errores in procedendo denunciabili mediante impugnazione della ordinanza ex art. 348-bis e ter c.p.c.
La Cassazione ha individuato i seguenti errores in procedendo denunciabili mediante ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di inammissibilità ex art. 111 Cost.:
- a) “mancato rispetto delle specifiche previsioni rinvenibili nei medesimi artt. 348 bis e ter c.p.c.” (ad esempio, pronuncia dell’ordinanza dopo la prima udienza ovvero senza aver sentito le parti);
- b) pronuncia dell’ordinanza nelle cause in cui è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero ex art. 70 c.p.c. e nelle cause svoltesi in primo grado secondo il rito sommario (per le quali il “filtro” non si applica);
- c) pronuncia dell’ordinanza ex 348 ter e bisnei casi in cui avrebbe dovuto essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello (cfr. art. 348 ter, comma 1);
- d) “ipotesi in cui l’appello è fondato su ius superveniens o fatti sopravvenuti“.
Il principio di diritto espresso:
“Avverso l’ordinanza pronunciata dal giudice d’appello ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c. è sempre ammissibile ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 comma 7 Cost. limitatamente ai vizi propri della medesima costituenti violazioni della legge processuale che risultino compatibili con la logica (e la struttura) del giudizio sotteso all’ordinanza in questione, dovendo in particolare escludersi tale compatibilità in relazione alla denuncia di omessa pronuncia su di un motivo di appello, attesa la natura “complessiva” del giudizio prognostico, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza nonché a tutti i motivi di ciascuna impugnazione, e potendo, in relazione al silenzio serbato in sentenza su di un motivo di censura, eventualmente porsi (nei termini e nei limiti in cui possa rilevare sul piano impugnatorio) soltanto un problema di motivazione”.
Una breve riflessione
Dopo anni dalla entrata in vigore del cd. filtro in appello, la sentenza in rassegna costituisce un punto di riflessione relativamente al problema della impugnabilità della ordinanza ex art. 348-bis e 348-ter codice di procedura civile.
Il contrasto esistente in capo alle sezioni semplici viene composto dalle Sezioni Unite attraverso un compromesso tra le esigenze deflattive del procedimento di appello da un lato, e l’esigenza di non vedersi pregiudicata la possibilità di impugnare un provvedimento che, ad oggi effetto, ha natura decisoria ed è quindi capace di incidere su situazioni di diritto soggettivo, dall’altro.
Se si ammettesse la ricorribilità tout court della ordinanza ex art. 348-bis e 348-ter c.p.c., si paralizzerebbe il procedimento di appello e l’istituto del “filtro” non spiegherebbe le finalità deflattive volute dal legislatore.
Se non si ammettesse la ricorribilità della medesima ordinanza, si lascerebbe un eccessivo potere in capo ai giudici di secondo grado i quali potrebbero emettere ordinanze “contra legem” contando, in definitiva, sulla loro non ricorribilità.
Ecco allora che le Sezioni Unite ritengono di “mediare” prevedendo sì la ricorribilità per cassazione della ordinanza ex art. 348-bis e ter c.p.c. ma solo per vizi propri della medesima costituenti violazioni della legge processuale che “risultino compatibili con la logica (e la struttura) del giudizio sotteso all’ordinanza in questione”.
La decisione delle sezioni unite costituisce, a parere di chi scrive, un “aggiustamento” necessario, ma ancora non sufficiente, tendente a porre in riequilibrio il sistema delle impugnazioni civili sensibilmente modificato dalla introduzione del cd. filtro in appello.
La sussistenza di più orientamenti contrastanti in ordine ad una materia molto delicata quale è quella delle impugnazioni non incoraggia certo il cittadino e neanche il giurista a ricercare la giustizia nei gradi successivi al primo.
Certamente, la sentenza della Sezioni Unite in rassegna, oltre a dirimere tale contrasto, suggella la possibilità di impugnare la ordinanza ex art. 348-bis e ter c.p.c., ma le ipotesi che giustificano la ricorribilità sono troppo limitate e finiranno per costituire un principio “vuoto”, privo di reale utilità pratica.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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