Corte Suprema di Cassazione – sezione quarta penale – sentenza n. 47003 del 12 novembre 2015

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RITENUTO IN FATTO

Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania con sentenza 27/09/2011 condannava gli imputati (Omissis) in relazione al reato di cui all’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, accertato in Catania dall’ottobre al dicembre 2009, con la recidiva reiterata nel quinquennio per(Omissis) e con la recidiva reiterata specifica nel quinquennio per (Omissis); condannava altresì tuti i predetti imputati – con la sola eccezione di (Omissis) – in relazione all’illecita cessione ed all’illecita detenzione a fine di cessione di sostanza stupefacente del tipo marjuana, attività queste aggravate entrambe dall’art. 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, accertate sempre in Catania nel suddetto periodo, con la recidiva reiterata nel quinquennio per (Omissis) e con la recidiva reiterata specifica nel quinquennio per (Omissis).

Fin dalle prime pagine della suddetta sentenza (cfr. pp. 2-3), nella ricostruzione della genesi delle indagini, che avevano portato alla formulazione dell’imputazione, veniva ricordato che:

a) in data 12 ottobre 2009 (Omissis) erano stati arrestati per detenzione a fini di spaccio di 500 grammi di sostanza stupefacente; nell’occasione la polizia giudiziaria aveva notato il (Omissis) stazionare in via Belfiore di Catania in attesa degli acquirenti che il (Omissis) gli indirizzava dalla vicina via Barcellona, dove aveva luogo il primo contatto; intorno ai due veniva osservata la presenza di numerosi soggetti che, a bordo di scooter, controllavano le vie limitrofe, svolgendo il ruolo di vedette pronte ad avvisare gli spacciatori all’arrivo della polizia giudiziaria; il (Omissis), allertato dai complici, aveva cercato di entrare in una abitazione per barricarsi all’interno, ma era stato tratto in arresto dai militi, mentre il (Omissis) ed altri giovani non identificati, intenti per l’appunto a fare il ruolo di vedette, si erano dati alla fuga; erano stati sequestrati 158 involucri di carta stagnola contenenti complessivi circa 500 grami di nnarjuana ed euro 485 provento di spaccio; nelle more anche in (Omissis) era stato arrestato; in sede di interrogatorio di garanzia il (Omissis) si era addossato ogni responsabilità, scagionando il (Omissis) che pertanto era stato rimesso in libertà dal Gip; in esito a tali fatti, tuttavia era stato disposto un servizio di intercettazione dei colloqui carcerari, che il (Omissis) avrebbe effettuato con i familiari;

b) il 14 novembre successivo, nel corso di tali indagini e mentre si acquisiva, attraverso l’analisi dei risultati di alcune videoriprese, la presenza attiva di (Omissis) nel crocevia tra le vie Barcellona e Belfiore intento a dialogare e consegnare oggetti a terzi soggetti, anche il (Omissis) era stato arrestato (per cessione di due involucri di sostanza stupefacente del tipo marijauana); attesa la similitudine di spaccio, si era proceduto anche all’intercettazione dei colloqui carcerari del (Omissis);

c) l’esito delle intercettazioni, che avevano interessato il (Omissis) ed il (Omissis), veniva combinato con le dichiarazioni accusatorie di alcuni collaboratori di giustizia e con il contenuto del disposto servizio di videoripresa; sulla base del suddetto compendio indiziario non solo il (Omissis) ed il (Omissis) ma anche (Omissis), (Omissis), (Omissis)e (Omissis) erano stati raggiunti da una ordinanza di custodia cautelare per i fatti per cui è processo.

Il Giudice di prime cure, dopo aver spiegato la genesi dell’indagine, nel valutare il materiale probatorio in relazione alla contestata associazione ed al contestato reato fine, ripercorreva il contenuto degli intercettati colloqui carcerari, indicando questi ultimi come la fonte principale sui cui si basava il giudizio di colpevolezza emesso nei confronti degli imputati ed aggiungendo che detta base probatoria era stata arricchita dalle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia e dagli esiti del servizio di videoripresa, posto in essere in data 29 e 30 ottobre proprio nella zona di via Barcellona.

Ad esito della valutazione del complessivo materiale probatorio (cfr. pp. 4- 29) il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania riteneva provata l’esistenza in Catania di un gruppo associato trafficante sostanza stupefacente del tipo marijuana nel crocevia Barcellona Belfiore quanto meno tra l’ottobre e il dicembre 2009, capeggiato da (Omissis) e composto anche da (Omissis), (Omissis), (Omissis) e (Omissis), nonché riteneva provato che tutti i predetti spacciavano in modo costante e reiterato ingenti quantitativi della suddetta sostanza in quel medesimo arco temporale (cfr. pp. 30-31).

La Corte di appello di Catania, seconda sezione penale, con sentenza del 24/04/2013 rideterminava la pena nei confronti degli imputati (Omissis) e (Omissis) e confermava nel resto la sentenza di condanna resa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania.

La Corte di cassazione, terza sezione penale, con sentenza del 29/10/2014, annullava la sentenza della Corte territoriale, in riferimento alla ravvisabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma 2, T.U. stup., con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania e con rigetto nel resto dei ricorsi.

In particolare, la Corte regolatrice censurava la sentenza di secondo grado in relazione al criterio utilizzato per la individuazione del superamento del limite individuato dalla sentenza n. 36258/2012 delle Sezioni Unite; evidenziava che nel caso di specie, in assenza di sequestro, non era dato conoscere il principio attivo delle sostanze che erano state singolarmente detenute e cedute nei mesi da ottobre a dicembre 2009 dagli imputati e che, d’altronde, il superamento del suddetto limiti non determinava automaticamente la sussistenza dell’aggravante, dovendosi avere riguardo, in assenza di specifici parametri quantitativi, dei criteri elaborati dalla precedente giurisprudenza di legittimità e dovendosi tener conto dell’intervenuto nuovo assetto normativo conseguente alla sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale.

La Corte di appello di Catania, terza sezione penale, decidendo in sede di rinvio, con sentenza in data 29/10/2014, confermava la sentenza di condanna resa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania in relazione alla sussistenza della circostanza aggravante, condannando gli imputati (Omissis), (Omissis) e (Omissis) al pagamento delle spese processuali di fase.

Avverso la predetta sentenza della Corte di appello di Catania proponevano ricorso, a mezzo dei rispettivi difensori, gli imputati (Omissis) e (Omissis).

6.-Il ricorso, presentato nell’interesse dell’imputato (Omissis), viene affidato a due motivi di ricorso.

6.1. Con il primo il ricorrente denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’asserita sussistenza dell’aggravante prevista dall’art. 80 T.U. stup..

Lamenta il ricorrente che nella sentenza impugnata si è ritenuto di colmare le lacune probatorie conseguenti all’assenza di sequestri di sostanza stupefacente mediante una limitata attività di osservazione da parte della polizia, gli esiti di alcune intercettazioni captate all’interno del carcere e le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia e non si è tenuto conto del nuovo assetto normativo che si è venuto a creare a seguito della sentenza n. 32/2014 per effetto della legge n. 79/2014, come invece indicato dalla Corte regolatrice nella citata sentenza di annullamento.

Lamenta inoltre il ricorrente che l’impugnata sentenza ha fatto riferimento a criteri preesistenti sanciti dalla giurisprudenza di legittimità prima della sentenza n. 36258/2012 delle Sezioni Unite, cioè a criteri che (quali l’elemento ponderale, sia pure non specificatamente predeterminato, la quantità di principio attivo, la quantità dello stupefacente e gli effetti negativi causati agli assuntori) non si armonizzano al caso di specie, caratterizzato dalla totale mancanza di dati certi provenienti da sequestri di sostanza in capo agli imputati.

6.2.Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’aumento per la continuazione tra i reati contestati.

Al riguardo il ricorrente – premesso che, a suo dire, la Corte regolatrice, nell’annullare la sentenza, ha disposto che doveva essere ricalibrato il trattamento sanzionatorio alla luce della nuova disciplina dell’art. 73 T.U. stup. – osserva che nella impugnata sentenza è stato affermato che l’aumento di pena irrogato, a titolo di continuazione per il reato di spaccio, è pari ad anni 1, mentre in realtà è pari ad anni 3 e mesi 4, aumento questo significativamente più alto rispetto a quello applicato agli altri imputati, senza che di ciò ne sia stata data alcuna motivazione.

Il ricorso, presentato nell’interesse dell’imputato (Omissis), è affidato ad un solo motivo con il quale si denuncia la manifesta illogicità e carenza di motivazione.

Secondo il ricorrente la Corte di rinvio sarebbe caduta in manifesta contraddittorietà laddove, da un lato, ha riconosciuto che il criterio quantitativo, anche se non matematicamente accertabile in assenza di sequestri di stupefacente, non può essere utilizzato per l’accertamento della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80; e, dall’altro, ha ritenuto la sussistenza della suddetta aggravante sulla base di due conversazioni ambientali (intercorse tra (Omissis) e la di lui moglie) e delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (Omissis), cioè sugli base degli stessi dati processuali sui quali la prima Corte di appello aveva fondato il proprio convincimento e che tuttavia, a suo dire, non avrebbero convinto la Corte regolatrice.

Aggiunge che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (Omissis) non sono state confermate dagli altri collaboratori di giustizia sentiti nel corso del processo di merito in punto di preteso acquisto da parte dell’imputato (Omissis) di 20 chili di marijuana e che, d’altronde, in nessuno degli episodi riferiti è stato mai menzionato il nome di (Omissis).

Rileva infine che la Corte di rinvio si è limitata ad affermare la ricorrenza dell’aggravante avuto riguardo ad uno spaccio parlato, senza che sia dato comprendere se si aveva avuto riguardo all’attività svolta dal ricorrente (Omissis) e se il riferimento sia stato alle cessioni operate personalmente da quest’ultimo ovvero anche alle cessioni dei concorrenti e, in quest’ultimo caso, se in ragione di una sommatoria delle diverse frazioni o se per avere individuato un comune complessivo quantitativo ingente.

In vista dell’odierna udienza (e, precisamente, in data 5/11/2015) entrambi gli imputati, tramite difensore, con separate memorie facevano pervenire presso questa Corte un unico comune nuovo motivo, ad integrazione dei rispettivi ricorsi già proposti, nel quale denunciavano entrambi violazione di legge in relazione all’art. 99 comma 5 cod. pen.

In sintesi entrambi i ricorrenti – dopo aver fatto presente che nei confronti di ciascuno di loro era stata ritenuta la recidiva ai sensi dell’art. 99 comma 5 T.U. stup. e dopo aver ricordato che la Corte costituzionale con sentenza n. 185 del 23/07/2015 ha dichiarato la illegittimità costituzionale di detta norma limitatamente alle parole “è obbligatorio” – lamentano che a ciascuno di essi è stata aumentata la pena di ben sei anni e mesi otto di reclusione senza che il giudice di merito abbia valutato in concreto se, in rapporto ai precedenti, il nuovo episodio delittuoso sia indicativo di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 ricorsi sono fondati e pertanto devono essere accolti, con conseguente annullamento della sentenza impugnata e rinvio per nuovo esame.

Il primo motivo di ricorso presentato nell’interesse dell’imputato (Omissis) ed il motivo di ricorso presentato nell’interesse dell’imputato (Omissis) sono fondati nei termini di seguito precisati.

2.1. Preliminarmente si osserva che il giudizio di rinvio, ai sensi dell’art. 627 cod. proc. pen., rappresenta una ulteriore fase del giudizio di merito, vincolata alla sentenza di annullamento nei limiti da questa determinati.

Il giudice di rinvio, in altri termini, decide con gli stessi poteri che aveva il giudice della sentenza annullata, limitatamente ai punti che hanno formato oggetto dell’annullamento o che siano in connessione essenziale con la parte annullata. Egli deve uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa e non può attrarre alla sua sfera di cognizione statuizioni diverse ed autonome rispetto a quelle devolutegli.

In particolare, il giudice di rinvio, in caso di annullamento per vizio di motivazione, è libero di determinare il proprio apprezzamento di merito mediante autonoma valutazione dei dati probatori e della situazione di fatto concernenti i punti oggetto dell’annullamento, fermo restando il suo obbligo a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento (cfr. Sez. 1, sent. n. 40386 del 16/09/2004, Fagan, Rv. 230620).

In sintesi, il giudizio di rinvio rappresenta un’autonoma fase di merito, caratterizzata dal condizionamento che scaturisce dalla sentenza della Corte di cassazione che lo ha disposto, essendo coperta ogni altra questione dal giudicato progressivo.

2.2.- Sempre in via preliminare, occorre ribadire la configurabilità dell’aggravante di cui D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2 anche nelle ipotesi in cui, per mancanza di materiali assoggettati a sequestro, non è stato possibile procedere all’analisi della sostanza stupefacente al fine di individuare la percentuale di principio attivo.

Al riguardo, questa Corte ha già avuto modo di precisare – dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 36258 del 24/05/2012, Biondi, Rv. 253150 (ma trattasi di principio che deve essere ribadito anche nell’assetto ordinamentale conseguente alla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 12/02/2014 ed all’entrata in vigore del d. l. 20/03/2014, n. 36, convertito con modificazioni nella legge 16/05/2014, n. 79) – che la valutazione riguardo all’aggravante può desumersi da altri elementi, e, specificamente, dalle dichiarazioni di testimoni e chiamanti in correità, o, ancora, dal tenore di conversazioni telefoniche intercettate.

In quell’occasione in particolare è stato affermato che: “Il nuovo criterio, pur collegato all’entità del principio attivo rapportato al dato ponderale, non induce a escludere che l’elemento dell’ingente quantità sia configurabile anche in difetto di sequestro della sostanza, quando si riscontrino elementi certi (si pensi alle indicazioni relative ai proventi realizzati o all’entità delle sostanze da taglio utilizzate) che consentano di pervenire per via indiretta al dato quantitativo.

Ragionare in termini differenti significherebbe negare aprioristicamente l’applicazione dell’aggravante in parola nei casi di c.d. “droga parlata”, ancorché da emergenze istruttorie inequivoche sia possibile pervenire in via deduttiva alla determinazione del dato quantitativo” (cfr. Sez. 4, sent. 05/07/2013, Myslihaka, Rv. 257641).

2.3.Tanto premesso, occorre osservare che la Corte regolatrice, nella fase rescindente del giudizio:

– in primo luogo, ha rilevato che la sentenza della Corte di appello di Catania, seconda sezione penale, nel rigettare il motivo di appello (con il quale si lamentava la sussistenza nella specie dell’aggravante dell’ingente quantità), aveva ritenuto che l’elevatissimo numero di cessioni di stupefacenti registrato il 29/10/2009 in solo quattro ore di osservazione, i cospicui proventi derivanti dall’attività di spaccio e l’acquisto di 20 kg di marijuana da parte di (Omissis) nell’ottobre del 2009, per come riferito da (Omissis), erano elementi tutti indicativi del fatto che il quantitativo di droga smerciata dal gruppo aveva superato il limite individuato dalle Sezioni Unite con sentenza del 24/05/2012, n. 36258, Biondi, Rv. 253150, come esemplificativo della demarcazione tra ipotesi di ingente quantità ed ipotesi non ingente;

– quindi, ha dato atto che nel caso di specie non è dato conoscere il principio attivo delle sostanze che vennero singolarmente detenute e cedute nei mesi da ottobre a dicembre 2009 dagli imputati (e né la sentenza impugnata aveva ritenuto di poterlo individuare sulla base dei dati di fatto disponibili);

– ed ancora ha statuito che: a) in ogni caso deve aversi riguardo a quegli elementi di fatto, mirati a considerare la realtà specifica, che già la giurisprudenza aveva a suo tempo individuato, anteriormente all’elaborazione delle Sezioni Unite del 2012 ed in assenza di specifici parametri quantitativi, quali indici, allora, di per sé esaustivi della ricorrenza dell’aggravante; b) la determinazione dei presupposti per l’applicazione dell’aggravante dell’ingente quantità non può prescindere dalla disamina delle modifiche intervenute successivamente alla data della sentenza impugnata e costituite dalla sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale e dal d. l. 20/03/2014, n. 36, convertito con modificazione nella legge 16/05/2014, n. 79; c) appare necessaria una ricalibrazione degli esiti  interpretativi già  raggiunti  in considerazione dell’accresciuto tasso di modulazione normativa difficilmente compatibile con una interpretazione tendenzialmente aritmetica dell’aggravante dell’ingente quantità.

2.4. La Corte di appello di Catania, terza sezione penale, decidendo in sede di rinvio, era chiamata a verificare la sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità e della congruità dell’irrogato trattamento sanzionatorio, nel sopra delineato perimetro decisionale.

In tale apprezzamento, la Corte territoriale risultava titolare del potere di liberamente apprezzare il compendio probatorio, nell’osservanza del principio di diritto richiamato dalla Corte regolatrice.

Orbene, la Corte distrettuale, quale giudice del rinvio – dopo aver dato rilevato che almeno parte della giurisprudenza di legittimità ha ritenuto compatibili i criteri individuati dalle Sezioni Unite del 2012 anche a seguito della sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale e con il regime normativo attualmente vigente – ha ritenuto di fare applicazione dei criteri utilizzati dalla Suprema Corte in epoca anteriore all’introduzione del principio quantitativo ed ha motivato la sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità di stupefacente – detenuta dagli imputati nei mesi da ottobre a dicembre 2009 – argomentando (pp. 6 e 7):

a) sui rilevantissimi ricavi dell’attività di spaccio effettuata dai sodali (euro 3600 ed euro 4000 come riferito da (Omissis) al marito (Omissis) nel corso dei colloqui intercettati il 23 ed il 30 novembre 2009; fino ad euro 15 mila di ricavo complessivo giornaliero secondo il collaboratore (Omissis));

b) sul rilievo che – avuto riguardo alla suddetta entità dei ricavi ed al notorio modesto costo di una dose di marjuana – il commercio giornaliero doveva essere di almeno 1500 dosi di stupefacente;

c) sugli esiti degli espletati servizio di video ripresa, dai quali erano risultate provate in appena quattro ore di osservazione circa 100 cessioni di stupefacente;

d) sulle dichiarazioni rese dal collaboratore (Omissis) in punto di acquisto nell’ottobre del 2009 di una partita di 20 kg di marijuana, quantitativo che, sotto il profilo ponderale, conferma un vastissimo traffico di sostanze stupefacenti tale da soddisfare una rilevantissima fetta del mercato catanese.

2.5. Ritiene il Collegio che gli elementi sopra sintetizzati dalla Corte territoriale siano indubbiamente indicativi di una intensa e continuata attività di spaccio, ma nella sentenza impugnata – anche a prescindere dalla disamina della portata della sentenza delle Sezioni Unite n. 36258 del 24/05/2012, Biondi, Rv. 253150, nell’assetto ordinamentale conseguente alla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 12/02/2014 ed all’entrata in vigore del d. l. 20/03/2014, n. 36, convertito con modificazioni nella legge 16/05/2014, n. 79 – non viene chiarito se questi dati siano riferibili alla disponibilità, anche da parte di entrambi gli odierni ricorrenti, nel medesimo contesto spazio-temporale, di un unico ingente quantitativo di sostanza stupefacente del tipo marijuana.

La valutazione circa la sussistenza della contestata aggravante, compiuta dal giudice di rinvio, in quanto insufficiente da un punto di vista logico, è suscettibile di rilievo in questa sede, con la conseguenza che, sul punto, la sentenza va annullata.

3.- Fondato è anche il motivo aggiunto presentato nell’interesse di (Omissis).

3.1. La Corte Costituzionale, con la recente sentenza 185 del 23/07/2015, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 99 c. 5 c.p., limitatamente alle parole «è obbligatorio».

Secondo la Consulta «la previsione di un obbligatorio aumento di pena legato solamente al dato formale del titolo di reato, senza alcun accertamento della concreta significatività del nuovo episodio delittuoso – in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti e avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 133 cod. pen. – sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo, [non viola solo l’art. 3 Cost] ma anche l’art. 27, terzo comma, Cost., che implica un costante ‘principio di proporzione’ tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall’altra».

Orbene, la declaratoria di incostituzionalità incide sulla norma fin dalla sua origine, eliminandola dell’ordinamento e rendendola inapplicabile ai rapporti giuridici in corso (Corte Cost. sent. n. 127 del 15.12.1966), ed incide altresì sulle situazioni pregresse, salvo il limite insuperabile del giudicato, che tuttavia trova un’eccezione in materia penale (sul tema cfr. Sez. 1, n. 26899 del 25/05/2012, Harizi, Rv. 253084; Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236535).

3.2. Nel caso di specie, occorre rilevare che il Giudice dell’udienza preliminare, dopo aver ritenuto (Omissis) responsabile dei delitti di cui ai capi A (art. 74 T. stup.) e B (art. 73 T. stup., in relazione alla cessione e detenzione continuata di ingente quantitativo di sostanza stupefacente del tipo marijuana), nel determinare per l’imputato la pena finale di anni 11 mesi 9 e giorni 11 di reclusione: dapprima, ha fissato la pena base in anni dieci per il reato di cui al capo A, ritenuto più grave, in considerazione del fatto che la norma incriminatrice prevede un minimo edittale maggiore rispetto a quello di cui al capo B; poi, ha determinato nella misura dei due terzi l’aumento per la ritenuta recidiva reiterata ed infraquinquennale, e cioè nella misura di anni sei e di mesi otto di reclusione; quindi, ha determinato nella misura di anni uno di reclusione l’aumento per la continuazione con il reato di cui al capo B; ed infine ha applicato la diminuente per il rito.

In particolare, il Giudice di prime cure – nel determinare l’aumento per la recidiva – dopo aver premesso che “nei confronti dell’imputato, attese le risultanze del certificato del casellario giudiziale, viene riconosciuta la recidiva reiterata specifica ed infraquinquennle, così come contestata (artt. 99 co. IV)” – ha motivato affermando che: “L’aumento di pena per la recidiva (versandosi in ipotesi di reato rientrante tra quelli di cui all’art. 407 c.p.p.) è, quindi, obbligatorio e nella misura di due terzi, corrispondente ad anni sei e mesi otto di reclusione (aumento inferiore al cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti ammontanti ad anni sette e mesi sei di reclusione, ragione per cui non trova applicazione il criterio di contemperamento di cui al comma VI dell’art. 99 c.p.)”

3.3. Orbene – poiché per effetto della sentenza della Consulta è venuto meno l’automatismo nella dichiarazione della recidiva e poiché nella sentenza, per cui è ricorso, pronunciata prima della pronuncia della Consulta, non è stata effettuata (né d’altronde poteva esserlo) alcuna valutazione sulla sussistenza di detta circostanza aggravante, al fine di stabilire se la ricaduta nel reato sia stata effettivamente espressione di un’accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità sociale del ricorrente – la sentenza impugnata deve essere anche su detto punto annullata.

Infine, devono essere accolti il secondo motivo di ricorso, nonché il motivo nuovo presentati nell’interesse dell’imputato (Omissis).

4.1.Al riguardo, giova ribadire che, come già rilevato dalla Corte regolatrice in fase remittente, il principio di applicazione della disciplina più favorevole, in dipendenza della sentenza di illegittimità costituzionale n. 32 del 2014 degli artt. 4 bis e 4 vicies ter della legge n. 49 del 2006 (sentenza che ha comportato la reviviscenza delle disposizioni previgenti e dunque in particolare, con riguardo alle droghe c.d. leggere, anche del previgente art. 73 comma 4, che prevedeva un trattamento sanzionatorio da due a sei anni di reclusione, dunque sensibilmente inferiore a quello delle disposizioni, dichiarate costituzionalmente illegittime) non trova applicazione allorquando, come per l’appunto si verifica il caso di specie, si tratti di reato satellite. Ciò in quanto, nell’istituto della continuazione, una volta individuata la violazione più grave, i reati meno gravi perdono la loro autonomia sanzionatoria, dovendosi solo aumentare la pena prevista per la violazione più grave, senza che rilevino i limiti legali della pena prevista per i singoli reati satelliti.

4.2.Tanto ribadito, occorre rilevare che il Giudice dell’udienza preliminare, dopo aver ritenuto (Omissis) responsabile dei delitti di cui ai capi A (art. 74 T. stup.) e B (art. 73 T. stup., in relazione alla cessione e detenzione continuata di ingente quantitativo di sostanza stupefacente del tipo marijuana), nel determinare per l’imputato la pena finale di anni 13 mesi 4 di reclusione: dapprima, ha fissato la pena base in anni dieci per il reato di cui al capo A, ritenuto più grave, in considerazione del fatto che la norma incriminatrice prevede un minimo edittale maggiore rispetto a quello di cui al capo B; poi, ha determinato nella misura dei due terzi l’aumento per la ritenuta recidiva reiterata ed infraquinquennale, e cioè nella misura di anni sei e di mesi otto di reclusione; quindi, ha determinato nella misura di anni tre e mesi quattro di reclusione l’aumento per la continuazione con il reato di cui al capo B; ed infine ha applicato la diminuente per il rito.

In particolare, il Giudice di prime cure – nel determinare l’aumento per la recidiva – dopo aver premesso che “nei confronti dell’imputato, attese le risultanze del certificato del casellario giudiziale, viene riconosciuta la recidiva reiterata ed infraquinquennle, così come contestata (artt. 99 co. IV e V)” – ha motivato affermando che: “L’aumento di pena per la recidiva (versandosi in ipotesi di reato rientrante tra quelli di cui all’art. 407 c.p.p.) è, quindi, obbligatorio e nella misura di due terzi, corrispondente ad anni sei e mesi otto di reclusione (aumento inferiore al cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti, ragione per cui non trova applicazione il criterio di contemperamento di cui al comma VI dell’art. 99 c.p.)”

Egli inoltre – nel dar conto dell’aumento per la continuazione in concreto determinato, – dopo aver ricordato che, in base all’art. 81 ultimo comma cod. pen., “fermi restando i limiti indicati dal terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali è stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99 comma 4, l’aumento della quantità di pena non può comunque essere inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave” – ha rilevato che i fatti che avevano portato alla contestazione ed all’applicazione della recidiva erano tutti antecedenti all’entrata in vigore della suddetta disposizione. Ciò non di meno, ha determinato nella misura di anni tre e mesi quattro di reclusione l’aumento per la continuazione con il reato di cui al capo B (peraltro nei confronti del solo imputato (Omissis).

4.3. Orbene, anche i motivi in esame sono fondati.

Quanto alle modalità di applicazione della contestata recidiva, si richiama quanto sopra osservato in relazione alla posizione del coimputato (Omissis).

Quanto poi all’aumento per la continuazione – premesso che l’imputato, nel proporre appello a mezzo del suo difensore avverso la sentenza di primo grado, per quanto non abbia espressamente contestato le modalità di calcolo dell’aumento di pena per la continuazione, si era tuttavia lamentato dell’eccessività di detto aumento – occorre osservare che il giudice di rinvio, nella impugnata sentenza, ha erroneamente affermato che l’aumento di pena per la continuazione era stato fissato in misura inferiore all’anno per tutti gli imputati (evidenziando peraltro che detto aumento era coerente con i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. ed alla gravità dei fatti di cui si trattava: fatti cioè di cessione e detenzione continuata di ingente quantità di stupefacente del tipo marjivana, che si sono realizzati in un contesto associativo ex art. 74 T.U. stup.), dimenticando che l’aumento di pena per la continuazione era stato fissato nella misura di anni tre e mesi quattro di reclusione per l’imputato (Omissis).

Per tutti i motivi che procedono la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame in punto di sussistenza della contestata aggravante dell’ingente quantità, in punto di applicazione della contestata recidiva, e in punto di determinazione dell’aumento della pena per la contestata continuazione (tra l’imputazione di cui al capo a e l’imputazione di cui al capo b, nonché interna allo stesso capo b).

P.Q.M.

annulla la impugnata sentenza con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Catania.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2015.

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