Corte Suprema di Cassazione – sezione lavoro – sentenza n. 23463 del 17 novembre 2015

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Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente deduce: violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1367 in combinato disposto con gli artt. 1346, 1965, 2113 c.c. Violazione degli artt. 411 terzo comma c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Lamenta che i giudici del merito non hanno fatto corretta applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e 1363 c.c., che impongono di procedere al coordinamento delle varie clausole e di interpretarle complessivamente le une per mezzo delle altre. Osserva che la transazione, oltre a non essere generica, ha un contenuto determinabile per relationem in ragione del tenore letterale e del senso complessivo dell’accordo, poiché da essa si evince che l’intenzione delle parti era quella di precludere ogni rivendicazione riferibile ai rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi in precedenza.

Il motivo è infondato. Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, “la dichiarazione sottoscritta dal lavoratore può assumere valore di rinuncia o di transazione, con riferimento alla prestazione di lavoro subordinato ed alla conclusione del relativo rapporto, sempre che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del documento, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati ovvero obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi. Il relativo accertamento costituisce giudizio di merito, censurabile, in sede di legittimità, soltanto in caso di violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale o in presenza di vizi della motivazione” (Sez. L, Sentenza n. 19831 del 28/08/2013, Rv. 628642). Orbene, nel caso in esame la Corte territoriale, con ragionamento rispettoso dei criteri ermeneutici e non censurato sotto il profilo del vizio motivazionale, ha chiarito che l’indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto della transazione discende dall’assoluta genericità della clausola, mancante di riferimenti specifici a diritti concreti già maturati, di cui non risultano richiamati i titoli, tanto da assumere la connotazione della espressione di una mera clausola di stile. I rilievi mossi con la censura in esame non valgono a inficiare il suddetto giudizio, che trova fondamento proprio nell’esame testuale delle previsioni contrattuali e dalla considerazione integrata delle medesime.

Con il secondo motivo deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 c.p. Osserva che era stato omesso l’esame delle circostanze acquisite al procedimento tramite le prove testimoniali dalle quali era emersa l’esistenza dei requisiti di cui all’art. 1 c. 2 lett. e) L. 230/1962, quali la specificità dei programmi e il vincolo di necessità diretta della lavoratrice nello specifico programma.

Anche tale censura è infondata, poiché non risultano denunciati vizi sussumibili nell’ambito dei limiti della doglianza come enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte in relazione alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., risultante dall’intervento della I. n. 134/2012, vigente ratione temporis (“La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

I rilievi enunciati valgono a fondare il rigetto del terzo motivo, con il quale la ricorrente deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., rilevando che il capo di sentenza che aveva escluso la risoluzione per mutuo consenso sulla mera inerzia del lavoratore era viziato per avere la Corte omesso totalmente l’esame di elementi significativi dedotti e documentalmente provati, quali la circostanza che tra la cessazione dell’ultimo rapporto e la prima rivendicazione avanzata era decorso un intervallo di 9 mesi, mentre il giudizio di primo grado era stato promosso a distanza di tre anni dalla sottoscrizione dell’ultimo contratto. Ed invero il ricorrente, piuttosto che denunciare specificamente un vizio di motivazione nei termini sopra indicati, si limita a prospettare una non consentita diversa ricostruzione dei medesimi fatti mediante la differente valutazione delle risultanze processuali.

Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 32, commi 5 e 6, L. 183/2010 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva che la Corte territoriale non aveva applicato correttamente la nuova tutela risarcitoria introdotta dall’art. 32 c. 5-7 I. 183/2010, non avendo tenuto conto di tutti i criteri di riferimento previsti ai fini della determinazione dell’indennità.

Deduce, inoltre, con il quinto motivo, violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 1282 primo comma c.c. e dell’art. 32 c. 5 e 6 della L. 183 /2010 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Rileva che la sentenza è viziata nella parte in cui i giudici hanno fatto decorrere gli accessori dell’indennità ex art. 32 I. 183/2010 dalla data di scadenza del termine del primo contratto piuttosto che dalla data di pubblicazione della sentenza.

I due motivi da ultimo enunciati possono essere trattati congiuntamente. In relazione ai medesimi la controricorrente ha dedotto, suffragando il rilievo mediante allegazione non contestata da controparte, che, con riguardo agli aspetti economici della vicenda, sussiste assoluta incompatibilità tra il dispositivo letto in udienza e la motivazione della sentenza successivamente depositata.

Rileva la (Omissis) che, in ragione del contrasto insanabile fra dispositivo e motivazione e della mancata impugnazione della statuizione, può dirsi intervenuta la stabilizzazione del dispositivo letto in udienza, con prevalenza di questo sulla sentenza.

I rilievi contenuti nel controricorso sono pertinenti, poiché il dispositivo letto in udienza, prodotto dalla ricorrente in copia autentica senza che al riguardo siano state mosse contestazioni dalla controparte, esplicita il decisum nel senso della integrale reiezione del gravame proposto dalla Rai; la motivazione e il dispositivo riportato in calce alla sentenza, invece, divergono dal predetto dispositivo, prevedendo l’accoglimento parziale del gravame, con applicazione delle disposizioni dell’art. 32 L. 183/2010 e limitazione della condanna della Rai al pagamento dell’indennizzo nella misura di sei mensilità. Il contrasto è inconciliabile, in quanto mentre la motivazione afferma il ridimensionamento delle conseguenze patrimoniali che discendono dall’affermata nullità del termine, il dispositivo si limita a confermare in toto le statuizioni rese in primo grado di accoglimento delle pretese economiche della lavoratrice, senza le limitazioni discendenti dall’applicazione del citato art. 32. I medesimi rilievi difensivi sono, altresì, fondati, con conseguente irrilevanza dei motivi d’impugnazione che afferiscono alla parte di motivazione difforme dal dispositivo medesimo. Va richiamato in proposito l’enunciato di cui alla sentenza Cass. n. 7706 del 16/05/2003 (Rv. 563221): “questa Corte ha ripetutamente affermato che nello speciale rito del lavoro la redazione del dispositivo della sentenza, non è come nel rito ordinario, atto puramente interno, ma è atto di rilevanza esterna poiché la sua lettura in udienza porta ad immediata conoscenza delle parti il contenuto della decisione e poiché di esso le parti stesse possono valersi come titolo esecutivo autonomo sicché, dovendo il dispositivo essere giustificato dalla motivazione, quando quest’ultima sia contraria al dispositivo, la contraddittorietà tra dispositivo e motivazione porta inevitabilmente all’annullamento della sentenza ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. (cfr. in tali sensi Cass. 8 agosto 1997 n. 7380 ed in argomento tra le altre anche Cass. 1 marzo 2001 n. 2958 e Cass. 7 febbraio 2000 n. 1335, secondo cui il contrasto insanabile tra dispositivo letto in udienza e motivazione depositata in cancelleria da luogo a nullità – a norma dell’art. 156, secondo comma, c.p.c. – che si converte in motivo di gravame ai sensi dell’art. 161, primo comma, c.p.c., con la conseguenza che in difetto di impugnativa deve prevalere il dispositivo che, acquistando pubblicità con la lettura fattane in udienza, cristallizza stabilmente la relativa statuizione, salvo che non si configuri un caso di inesistenza della sentenza, cui adde, infine, Cass. 11 maggio 2002 n. 6786, Cass. 8 novembre 2001 n. 13839, Cass. 10 novembre 1998 n. 11336, Cass. 30 luglio 1996 n. 6855, che hanno tutte statuito l’inidoneità a costituire cosa giudicata delle enunciazioni contenute in motivazione ed incompatibili con il dispositivo letto in udienza)”.

Va rilevato, altresì, che, secondo autorevole dottrina, con la lettura del dispositivo il giudice perde ogni potere decisorio e deve reputarsi cessata la pendenza della causa dinanzi a lui. Va rimarcato, inoltre, che nella specie la statuizione come risultante dal dispositivo della sentenza non è stata assoggettata ad impugnazione: non dalla Rai, i cui motivi enunciati in ricorso sub 4 e 5 attengono alla motivazione difforme dal dispositivo letto in udienza, non dalla (Omissis), la quale non ha un interesse processualmente rilevante (art. 100 c.p.c.) a far dichiarare la nullità della sentenza, atteso che, essendo il comando giudiziale contenuto nel dispositivo letto in udienza, l’esito della controversia corrisponde esattamente a quello sperato. Ne discende che la statuizione in concreto deve reputarsi conforme al dispositivo letto in udienza poiché “la circostanza che il dictum giudiziale risieda nel dispositivo … impedisce che le enunciazioni incompatibili contenute nella motivazione siano suscettibili di passare in giudicato ed arrecare pregiudizio giuridicamente apprezzabile” (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 21885 del 26/10/2010, Rv. 615354). Di conseguenza il decisum deve essere ravvisato nella motivazione della sentenza integrata con il dispositivo letto in udienza, con prevalenza di quest’ultimo, secondo il costante indirizzo espresso da questa Corte di legittimità sul punto ( v., per tutte, Cass. 18090/2007 rv 598603).

Il ricorso, pertanto, deve essere integralmente rigettato, con affermazione del principio di diritto nei termini che seguono: “In tema di processo del lavoro, il dispositivo letto in udienza e depositato in cancelleria ha una rilevanza autonoma poiché racchiude gli elementi del comando giudiziale che non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione e non è suscettibile di interpretazione per mezzo della motivazione medesima, sicché le proposizioni contenute in quest’ultima e contrastanti col dispositivo devono considerarsi come non apposte e non sono suscettibili di passare in giudicato od arrecare un pregiudizio giuridicamente apprezzabile”.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio sostenute dalla resistente, liquidate in complessivi € 3.500,00, di cui € 100,00 per esborsi ed € 3.400,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma il 1/7/2015

Il Consigliere relatore Il Presidente

 

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