La mancanza di specificità del motivo di impugnazione deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificítà conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c) c.p.p. all’inammissibilità
Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda penale – con sentenza n. 41755 del giorno 8 ottobre 2015
Il caso
La Corte di appello di Cagliari confermava la sentenza del Tribunale di Cagliari che aveva condannato un uomo alla pena di mesi sei di reclusione ed €. 150,00 di multa per i reati di detenzione per la vendita di prodotti con marchi falsi e ricettazione degli stessi.
La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti ed equa la pena inflitta.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando quattro motivi di gravame con i quali deduceva:
- Violazione di norme processuali dolendosi che i giudici non potevano trarre elementi di prova in ordine alla confondibilità del marchio attraverso l’avvenuta esibizione del corpo di reato in sede d’appello, in quanto avrebbero dovuto procedere a perizia.
- Violazione di norme processuali in relazione all’art. 195 cod. proc. pen., contestando l’assunzione di un appartenente alle Forze dell’Ordine in qualità di testimone;
- Violazione della legge penale in relazione all’art. 485 cod. pen., invocando l’ipotesi del falso grossolano;
- Inosservanza della legge penale in relazione agli artt. 163 e 168 cod. pen., dolendosi della revoca della sospensione condizionale della pena in presenza di due certificati del casellario e sulla base di un certificato del casellario giudiziario che non riportava correttamente il nominativo e le generalità dell’imputato.
Perché la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso
Per gli Ermellini, il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.
In particolare, le censure relative al primo motivo sono inammissibili in quanto l’esibizione del corpo di reato in udienza è attività istruttoria insuscettibile di censura alcuna.
Del pari, ugualmente inammissibili – per i giudici di legittimità – sono il secondo motivo in punto di legittimità dell’escussione del teste ed il terzo motivo in punto di falso grossolano in quanto fondati su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerarsi non specifici.
Il vizio di aspecificità dei motivi dell’impugnazione.
La mancanza di specificità del motivo – proseguono i giudici di piazza Cavour – deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
Anche il quarto motivo del ricorso è aspecifico.
Ma anche il quarto motivo del ricorso per cassazione è inammissibile per aspecificità, non avendo il ricorrente allegato – a giudizio degli Ermellini – alcun elemento per contestare quanto documentato dal secondo certificato del casellario giudiziario, dal quale risulta che l’imputato aveva già ottenuto per due volte la sospensione condizionale della pena. Da qui, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Una breve riflessione
Con la sentenza in rassegna, la Suprema Corte ribadisce un principio davvero importante che costituisce una pietra miliare delle impugnazioni.
Il dato normativo di partenza è rappresentato dalla disposizione contenuta nell’articolo 591 del codice di procedura penale a mente del quale l’impugnazione è inammissibile, tra gli altri, quando non sono osservate le disposizioni di cui all’articolo 581 c.p.p.
A sua volta, detta ultima disposizione recita che l’atto di impugnazione deve indicare i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione, le richieste, nonché i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Pertanto, chi intende proporre una impugnazione avverso un provvedimento penale non può limitarsi a riproporre le medesime censure proposte nel precedente grado di giudizio, ma deve confrontarsi con le esplicitazioni del giudice censurato.
Detto principio, valevole anche in campo civilistico (Corte di Cassazione, sezione sesta – 30 Luglio 2012 – n° 13580), nonché in ambito di giustizia amministrativa (C.d.S., sez. III, 17 ottobre 2011, n. 5550; sez. IV, 31 dicembre 2009, n. 9295), soffre una eccezione in ambito tributario laddove il ricorrente, nell’atto di appello, può riproporre le stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado – in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere – ed in siffatto modo assolve all’onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dall’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Corte di cassazione – sezione VI civile – sentenza n.5187/2015).
La giurisprudenza penale (Cass. pen. n. 8345/2014) ha comunque temperato il principio di specificità dei motivi stabilendo che la specificità che deve caratterizzare i motivi di appello deve essere intesa alla luce del principio del “favor impugnationis”, motivo per cui l’esigenza di specificità del motivo di gravame ben può essere intesa e valutata con minore rigore rispetto al giudizio di legittimità. Fermo restando che, secondo Cass. pen. n. 51738/2013, è inammissibile l’atto di appello che, pur individuando il punto della sentenza censurato che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello nonché la diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame, sia privo dell’indicazione dei motivi di dissenso rispetto alla decisione appellata. E la inammissibilità si consolida anche se, nei termini, l’appellante abbia depositato motivi nuovi (Cass. pen. n. 47414/2008).
Del resto, non si tratta di un requisito formalistico, atteso che l’ammissibilità dell’atto di impugnazione dipende dal tasso di determinatezza dei motivi che la sostengono, la cui valutazione deve essere volta ad accertare la chiarezza e specificità dei medesimi in rapporto ai principi della domanda, della devoluzione e del diritto di difesa dei contro interessati (Cass. pen. n. 40243/2008).
Del resto, come affermato da Cass. pen. n. 35492/2007, la mancanza di specificità dei motivi va riscontrata anche nel caso di mancata correlazione tra i motivi posti alla base del gravame e quelli posti dal giudice censurato alla base della propria motivazione.
Alla luce di quanto sopra, possiamo trarre le seguenti conclusioni:
- il vizio di specificità dei motivi dell’impugnazione, pur attenendo al medesimo tema, subisce una sorta di differenziazione a seconda che si tratti di atto di appello o di ricorso per cassazione;
- nel caso di appello la valutazione sulla sussistenza del vizio di aspecificità è più elastica rispetto ai casi di ricorso di legittimità;
- una volta presentata una impugnazione inammissibile per aspecificità dei motivi, non è possibile porvi rimedi sanante attraverso la rituale proposizione di motivi aggiunti;
- il vizio di aspecificità dei motivi della impugnazione ha la funzione di rispetto dei principi della domanda, della devoluzione ed ha come finalità ultima il diritto di difesa dei contro interessati.
Va da sè che il vizio di aspecificità dei motivi, determinando la inammissibilità del gravame e quindi impedendo l’ulteriore decorso dei termini prescrizionali, (Corte di Cassazione – sezione V penale – sentenza 12 gennaio 2012 n.595; Corte di Cassazione penale – sentenza 31 ottobre 2014 n.45114) dovrebbe anche disincentivare la proposizione di ricorsi inammissibili. Anzi, la necessità di dedurre vizi specifici dovrebbe essere un metro per la valutazione della sostenibilità della proponenda impugnazione.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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