Non ogni denuncia di reato presentata all’autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta all’accesso, dal momento che, se la denuncia è presentata dalla p.a. nell’esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, non si ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 329, c.p.p., diversamente da quanto accade nell’ipotesi in cui la p.a. che trasmette all’autorità giudiziaria una notizia di reato non lo fa nell’esercizio della propria istituzionale attività amministrativa, ma nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuitele dall’ordinamento, venendo in rilievo in tali casi atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell’art. 329 c.p.
Chi subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d’iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti, non essendovi, alla luce del quadro normativo di riferimento, ostacoli a tale diritto di accesso, non offrendo l’ordinamento tutela alla segretezza delle denunce, a meno che la comunicazione del nominativo del denunciante non si rifletta negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria, il che può unicamente giustificare il differimento del diritto di accesso, ma non consente, invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli atti.
Lo ha ribadito il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio con sentenza n. 11188 del 10 settembre 2015
Il caso
Un cittadino veniva a conoscenza che un vicino di casa aveva presentato contro di lui, presso il Comando dei Vigili, un esposto in ordine a dei lavori edili relativi alla propria abitazione.
Depositava, dunque, presso il suddetto Comando, una istanza tendente ad ottenere l’accesso agli atti ed in particolare il rilascio di copia dell’esposto presentato dal vicino.
Il diniego opposto dal Comando dei Vigili
Il Comando dei Vigili opponeva un rifiuto alla istanza sul presupposto che l’accesso fosse precluso ai sensi dell’art. 329 c.p.p. per essere stata effettuata comunicazione di notizia di reato alla competente Procura della Repubblica.
Difatti, a parere del Comando, l’articolo 329 c.p.p. stabilisce, al primo comma, che “gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”.
Il ricorso al TAR.
Il soggetto denunciato non si arrendeva e proponeva ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale deducendo la violazione degli artt. 1, 2, 3, 22 commi 1, lett. b) e 6, e 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990; dei principi di trasparenza, ragionevolezza, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, nonché eccesso di potere per manifesta contraddittorietà, difetto di istruttoria e travisamento dei fatti.
La tesi del ricorrente
A parere del ricorrente, il Comando avrebbe disatteso le disposizioni del codice sulla protezione dei dati personali le quali riconoscono il diritto all’accesso alla documentazione riferita a segnalazioni, denunce e rapporti informativi nell’ambito di un procedimento di accertamento, non potendo a tale diritto ostare eventuali esigenze di riservatezza.
Tra l’altro, afferma il ricorrente di avere interesse all’accesso alla richiesta documentazione essendo stato avviato, sulla base dell’esposto, un’indagine da parte dei competenti uffici comunali.
Il ricorrente eccepisce, ancora, la erroneità della determina dirigenziale impugnata nella parte in cui ritiene sottratta all’accesso la denuncia del privato cittadino alla Procura della Repubblica in quanto afferente ad un procedimento penale, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 22, 23 e 24 della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 329 c.p.p. per avere il chiesto accesso riguardato la denuncia che è presupposto dell’accertamento dei vigili urbani, mentre nessuna richiesta era stata effettuata con riferimento agli atti di indagine contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero. Le doglianze del ricorrente sono ritenute fondate.
Occorre distinguere se la denuncia è presentata dalla p.a. nell’esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative ovvero nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuitele dall’ordinamento.
Afferma il TAR, in adesione alla giurisprudenza maggioritaria (ex plurimis, da ultimo: Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2013 n. 547; T.A.R. Reggio Calabria 22 ottobre 2014 n. 584), che non ogni denuncia di reato presentata all’autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta all’accesso, dal momento che, se la denuncia è presentata dalla p.a. nell’esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, non si ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 329, c.p.p., diversamente da quanto accade nell’ipotesi in cui la p.a. che trasmette all’autorità giudiziaria una notizia di reato non lo fa nell’esercizio della propria istituzionale attività amministrativa, ma nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuitele dall’ordinamento, venendo in rilievo in tali casi atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell’art. 329 c.p.p. che sono conseguentemente sottratti all’accesso ai sensi dell’art. 24 della legge n. 241 del 1990.
Sussiste un interesse diretto, concreto ed attuale in capo al ricorrente.
Precisa il TAR che deve riconoscersi in capo all’istante la sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale di accedere ad esposti o denunce presentati nei suoi confronti, trattandosi di interesse collegato ad una situazione giuridicamente tutelata in capo al soggetto istante e connesso al documento al quale è chiesto l’accesso.
Difatti, chi subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d’iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti, non essendovi, alla luce del quadro normativo di riferimento, ostacoli a tale diritto di accesso, non offrendo l’ordinamento tutela alla segretezza delle denunce, a meno che la comunicazione del nominativo del denunciante non si rifletta negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria, il che può unicamente giustificare il differimento del diritto di accesso, ma non consente, invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli atti (Cons. Stato, Sez. V, 19 maggio 2009, n. 3081; Sez. VI, 25 giugno 2007 n. 3601).
Da qui l’accoglimento del ricorso, l’annullamento del gravato provvedimento di diniego all’accesso con contestuale ordine, alla resistente Amministrazione, di consentire l’accesso alla richiesta documentazione.
Una breve riflessione
La sentenza in rassegna interviene in un settore molto delicato e combattuto, terreno di notori litigi tra vicini di casa.
E’ notorio che l’avvio di un’indagine (penale o amministrativa) per (presunti) abusi edilizi, il più delle volte, si avvia grazie alla denuncia-esposto di un vicino. Questi presenta un esposto ai Vigili i quali, sulla base di tale notizia, svolgono le necessarie indagini e, se del caso, trasmettono gli atti alla Procura della Repubblica se ritengono la sussistenza di fatti penalmente rilevanti, ovvero avviano le procedure di contestazione dell’illecito amministrativo (ove sussistente, da solo o congiuntamente all’illecito penale).
Eppure, in tutte i fascicoli di indagine per abusi edilizi, anche quelli sorti sulla base di un esposto di un privato, non vi è quasi mai traccia di detto esposto.
Ed i Vigili, da sempre, a fronte della richiesta di ottenere copia dell’esposto, si sono trincerati dietro il paravento del segreto d’indagine.
E questo è un po’ ciò che è accaduto nel caso in esame.
Solo che, nella fattispecie, il vicino non si è arreso ed è voluto andare in fondo alla questione, alla fine spuntadola.
Interessante è la distinzione che il TAR opera tra denuncia presentata dalla p.a. nell’esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative da un lato, e denuncia presentata dalla p.a. nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuitele dall’ordinamento.
Nel primo caso, afferma il TAR, non vi è alcun segreto di indagine da osservare, risultando inapplicabile il disposto dell’articolo 329 del codice di procedura penale.
La decisione del TAR appare sotto tutti i punti di vista condivisibile e rispettosa dei diritti del soggetto nei cui confronti vengono mossi degli addebiti.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito, in diverse aree del diritto, alla emanazione di norme che tendono a garantire la partecipazione del cittadino al procedimento che lo riguarda. Tali norme hanno riguardato il diritto tributario, il diritto penale e, soprattutto, il diritto amministrativo.
Prima che possa essere richiesto il rinvio a giudizio di una persona, l’articolo 415-bis del codice di procedura penale richiede che gli sia notificato un avviso (di conclusione delle indagini) in esito al quale la persona interessata può esercitare tutta una serie di diritti. Tutela analoga vige in ambito tributario e, soprattutto, in ambito amministrativo: prima di poter emanare un provvedimento negativo, la p.a. deve notiziare il richiedente che può presentare, entro il termine di giorni dieci, le proprie osservazioni o i documenti che ritiene necessari.
La tesi del Comando che ha rigettato l’istanza di accesso appare, alla luce di quanto sopra, anacronistica. La norma di cui all’articolo 329 del codice di procedura penale, richiamata dallo stesso Comando per giustificare il diniego, tutela un altro bene giuridico, che è quello dell’amministrazione della giustizia di non veder pregiudicate le indagini. Tanto è vero che il divieto è temporalmente limitato. Ma non si può “dilatare” sine die il divieto posto dall’articolo 329 c.p.p. e, non solo applicandolo senza alcun limite temporale, ma soprattutto applicandolo ad ipotesi diverse rispetto a quelle tassative a presidio delle quali la norma è stata posta.
La conoscenza, per tempo, dell’esposto del vicino, lungi dall’inquinare indagini, potrebbe consentire al soggetto denunciato di proporre le proprie difese allegando fatti che non sono stati attenzionati dal denunciante o rilevati dagli organi addetti.
A questo punto, però, al fine di evitare il ricorso agli organi di giustizia amministrativa per ottenere l’accesso a tale tipologia di atti, sarebbe forse il caso di emanare una norma che puntualizzi i diritti del “denunciato” ed evitare l’adozione di interpretazioni restrittive come quelle tenute dal Comando dei vigili nel procedimento in esame.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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