Corte Suprema di Cassazione – sezione terza civile – sentenza n. 19258 del 29 settembre 2015

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 31 ottobre 2003, (danneggiata Omissis) conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale dì Trieste, la (responsabile Omissis) e l’Assicurazioni Generali S.p.a., al fine di sentir accertare l’esclusiva responsabilità della società per prima indicata nella causazione del sinistro stradale occorso il 20 settembre 1996, sulla Strada Statale n.7, Località Porsaro Agro di Miglionico e, di conseguenza, sentir condannare le convenute in solido al risarcimento dei danni subiti.

Chiedeva, altresì, l’ammissione della prova testimoniale del teste (teste Omissis).

Si costituivano entrambe le convenute che contestavano la domanda attrice e, in via istruttoria, eccepivano l’incapacità del teste indicato dalla (danneggiata Omissis).

Il Tribunale di Trieste, con sentenza del 12 marzo 2009, accoglieva l’eccezione di parte convenuta e riteneva sussistente l’incapacità a testimoniare del teste (teste Omissis), trasportato dall’attrice sull’auto al momento del sinistro e che aveva chiesto il risarcimento del danno con atti di messa in mora, e, conseguentemente, riteneva nulla la deposizione testimoniale già resa dal predetto testimone; accoglieva parzialmente la domanda attrice, accertando un concorso di colpa dei conducenti nella causazione del sinistro stradale e liquidando, in favore dell’attrice, i danni subiti nella misura del 50%, con compensazione tra le parti delle spese di lite.

Avverso la suddetta sentenza la (danneggiata Omissis) proponeva gravame, lamentando l’erronea decisione del giudice di prime cure nell’annullare (recte dichiarare nulla) la deposizione dell’unico teste oculare dell’incidente stradale in questione e chiedendo la declaratoria dell’esclusiva responsabilità della (responsabile Omissis), con condanna delle appellate al pagamento, a titolo di risarcimento danni, del residuo importo di € 219.960,69, già detratti gli importi percepiti a titolo di acconto.

Si costituivano le società convenute chiedendo il rigetto del gravame.

La Corte di appello di Trieste, con sentenza del 19 giugno 2012, rigettava l’appello proposto dalla (danneggiata Omissis) e dichiarava compensate tra le parti le spese processuali del secondo grado di giudizio.

Avverso l’anzidetta sentenza (danneggiata Omissis) ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria e articolato in quattordici motivi, cui ha resistito con controricorso l’Assicurazioni Generali S.p.a.

L’altra intimata non ha svolto, in questa sede, attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta “violazione ed erronea applicazione dell’art. 246 c.p.c. anche in relazione all’art. 360 bis n. 1 c.p.c. per illegittimo accoglimento, da parte dell’autorità giudicante, dell’eccezione ex art. 246 c.p.c. ex adverso formulata all’udienza di precisazione conclusioni, a causa dell’omissione dell’esplicita richiesta di revoca dell’ordinanza ammissiva della prova testimoniale”.

Assume la ricorrente che erroneamente la Corte di merito avrebbe accolto l’eccezione di incapacità dell’unico teste, dovendosi ritenere tale eccezione rinunciata, in quanto il difensore delle controparti, in sede di precisazione delle conclusioni, si sarebbe limitato a rinnovare tale eccezione senza richiedere la revoca dell’ordinanza ammissiva della prova in questione e non potendo tale eccezione essere rilevata d’ufficio.

2. Con il secondo motivo si denuncia “violazione ed erronea applicazione dell’art. 246 c.p.c. (anche in relazione all’art. 360 bis n. 1 c.p.c.) per illegittima dichiarazione (da parte dell’autorità giudicante) di incapacità a testimoniare dell’unico teste escusso e per omessa considerazione, sul punto, della giurisprudenza della Cassazione Civile in materia di “interesse giuridico, attuale e concreto” quale unico elemento ostativo alla capacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c.”.

Sostiene la (danneggiata Omissis) che la Corte di merito, ritenendo valida la predetta eccezione, avrebbe deciso in modo difforme dal consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che “individua nel “solo interesse giuridico, concreto ed attuale” all’esito della causa (in cui il testimone é chiamato a deporre), l’unico elemento ostativo alla capacità a testimoniare”. Ad avviso della ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dalla predetta Corte, il teste (teste Omissis) non avrebbe potuto partecipare al presente giudizio, coltivando, in uno con l’attrice e nei confronti delle medesime convenute, le proprie pretese creditorie nascenti dalla medesima causa petendi, in quanto, già al momento dell’iscrizione a ruolo della causa di primo grado, il diritto del predetto al risarcimento dei danni eventualmente riportati nel sinistro in questione si era ormai prescritto né il (teste Omissis) aveva mai azionato alcuna causa civile nei confronti delle società convenute nel presente giudizio.

3. Il terzo motivo è così rubricato: “violazione ed erronea applicazione dell’art. 246 c.p.c. (anche in relazione all’art. 360 bis n. 1 c.p.c.) con riferimento all’omessa considerazione del consolidato orientamento della Suprema Corte con riguardo alle ripercussioni della testimonianza sul patrimonio del teste”.

Sostiene la (danneggiata Omissis) che la Corte territoriale, nel ritenere l’incapacità a testimoniare del (teste Omissis), si sarebbe discostata dai parametri indicati dalla giurisprudenza di legittimità, anche sotto altro profilo, in quanto, secondo l’orientamento giurisprudenziale richiamato dalla ricorrente, “solo il diretto coinvolgimento della persona chiamata a deporre nel rapporto controverso può determinare “incapacità a testimoniare” ex art. 246 c.p.c., a condizione che l’esito della causa “si rifletta sul patrimonio dello stesso teste”, laddove il (teste Omissis) non avrebbe potuto assumere la qualità di parte in senso sostanziale, neppure nella causa di primo grado, iscritta quando era ormai prescritto ogni potenziale diritto risardtorio per il detto teste, il quale, comunque, a seguito del sinistro in parola, non aveva riportato lesioni ed era stato ricoverato presso l’Ospedale di Matera “solo a scopo cautelativo”, come dallo stesso dichiarato all’udienza del 6 luglio 2005, sicché il (teste Omissis) non aveva alcun interesse giuridico, concreto ed attuale all’esito della causa in cui era stato escusso, né al momento della deposizione testimoniale, né al momento dell’emissione dell’ordinanza ammissiva della prova testimoniale e neppure al momento dell’iscrizione a ruolo della causa di primo grado.

4. Con il quarto motivo si deduce “violazione ed erronea applicazione dell’art. 246 c.p.c. (anche in relazione all’art. 360 bis n. 1 c.p.c.) con riferimento al momento della deposizione quale unico momento utile per il giudizio sulla capacità a testimoniare”.

Premesso che, secondo quanto affermato dalla sentenza di questa Corte n. 22030 emessa il 2 settembre 2008, il giudizio sulla capacità del teste deve essere effettuato con riguardo al momento in cui viene resa la deposizione stessa, rappresenta la ricorrente che il (teste Omissis) non aveva, al momento dell’espletamento della prova testimoniale, alcun interesse alla lite, non avendo egli mai richiesto in sede giudiziale alcun risarcimento dei danni alle società convenute, essendo prescritto ogni ipotetico suo diritto risarcitorio e non essendo legato alla (danneggiata Omissis) da alcun vincolo giuridico, né matrimoniale, né parentale.

5. Con il quinto motivo, lamentando “violazione ed erronea applicazione dell’art. 246 c.p.c. (anche in relazione all’art. 360 bis n. 1 c.p.c.) con riferimento alla totale indifferenza del testimone escusso all’esito della causa di I grado n. 3451/03 R.G.”, la ricorrente sostiene che correttamente il giudice di primo grado aveva ritenuto, con l’ordinanza istruttoria, attendibile il teste (teste Omissis) e che, alla luce del già richiamato orientamento della giurisprudenza di legittimità e tenuto conto che tra la data di verificazione del sinistro e quella di espletamento della prova erano trascorsi nove anni, la deposizione del (teste Omissis), unico teste, ben avrebbe dovuto essere presa in considerazione.

6. Con il sesto motivo, dolendosi di “violazione ed erronea applicazione dell’art. 246 c.p.c. (anche in relazione all’art. 360 bis n. 1 c.p.c.) per omessa considerazione, da parte dell’autorità giudicante, del requisito di attendibilità in capo al testimone escusso”, la (danneggiata Omissis) lamenta che la Corte di merito non avrebbe “in alcun modo considerato” la giurisprudenza di legittimità in ordine al requisito dell’attendibilità del teste; sostiene che la deposizione del (teste Omissis) integrerebbe i requisiti richiesti dalla detta giurisprudenza (precisione, completezza della dichiarazione, assenza di possibili contraddizioni) e censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto “del tutto superflua … una specifica richiesta di revoca dell’originaria ordinanza di ammissione, concettualmente coessenziale alla così ribadita eccezione”.

7. Con il settimo motivo, lamentando “violazione ed erronea applicazione dell’art. 246 c.p.c. (anche in relazione all’art. 360 bis n. 1 c.p.c.) con riferimento al ‘potere-dovere’ del giudice di esaminare l’intrinseca credibilità del testimone”, la ricorrente assume che la Corte di merito non avrebbe “esaminato in alcun modo l’intrinseca credibilità” del testimone escusso”, la cui deposizione avrebbe dovuto essere presa in considerazione ai fini della decisione della presente causa, non sussistendo alcun interesse concreto ed attuale dello stesso all’esito della causa.

8. Con l’ottavo motivo, deducendo “violazione ed erronea applicazione dell’art. 246 c.p.c. (anche in relazione all’art. 360 bis n. 1 c.p.c.) per omessa considerazione della giurisprudenza della Suprema Corte in merito al momento utile da considerare ai fini della valutazione della capacità a testimoniare, ex art. 246 c.p.c.”, la (danneggiata Omissis) ribadisce che quello della deposizione sarebbe l’unico momento utile da considerare, ai fini della valutazione della capacità o meno di testimoniare, e che la Corte di merito non si sarebbe uniformata all’orientamento della giurisprudenza di legittimità sul punto e ripete che il (teste Omissis), alla data della sua deposizione testimoniale, non aveva “alcun interesse, né ‘giuridico’, né ‘concreto’, né tanto meno ‘attuale all’esito della causa”, non avendo mai azionato alcuna causa civile nei confronti delle società convenute né rivestendo la qualità di parte in un qualsivoglia giudizio civile nei confronti delle predette in relazione al sinistro in questione.

9. Con il nono motivo ci si duole di “violazione ed erronea applicazione dell’art. 246 c.p.c. (anche in relazione all’art. 360 bis n. 1 c.p.c.) con riguardo all’asserita, medesima ‘causa petendi’ del teste escusso (in relazione alla ‘causa petendi’ dell’attrice) relativamente alla causa di I grado n. 3451/03 R.G.”.

La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che “il (teste Omissis) avrebbe potuto partecipare al presente giudizio coltivando, in uno con l’attrice e nei confronti dei medesimi convenuti, le proprie pretese risarcitorie nascenti dalla medesima causa petendi”, sostenendo che la predetta Corte non avrebbe considerato che l’unico elemento ostativo alla capacità di testimoniare sarebbe l’interesse ‘personale’, ‘giuridico’, ‘concreto’ ed ‘attuale’ e che il (teste Omissis) non avrebbe potuto partecipare al presente giudizio, essendo, già al momento dell’iscrizione a ruolo della causa in primo grado, intervenuta la prescrizione di ogni suo potenziale diritto risarcitorio, con conseguente caducazione, in capo al predetto teste, di qualsiasi interesse avente le caratteristiche sopra evidenziate, sicché la testimonianza del (teste Omissis) avrebbe dovuto essere considerata valida e, quindi, la Corte di merito avrebbe dovuto accogliere il primo motivo di appello.

10. Con il decimo motivo, rubricato “violazione ed erronea applicazione dell’art. 246 c.p.c. (anche in relazione all’art. 360 bis n. 1 c.p.c.) per omessa considerazione, da parte dell’autorità giudicante, della giurisprudenza emanata dalla Cassazione Civile, con riferimento all’interesse giuridico, concreto ed attuale, quale unico elemento ostativo alla capacità di testimoniare”, la ricorrente ribadisce che, come a suo avviso, correttamente ritenuto dal G.U. in primo grado, nell’ordinanza ammissiva della prova, in capo al teste escusso non sussisteva un interesse concreto ed attuale né all’epoca della deposizione testimoniale, né all’epoca della predetta ordinanza, né all’epoca dell’iscrizione a ruolo della causa.

11. Con l’undicesimo motivo, denunciando “omessa valutazione del momento della deposizione testimoniale quale unico momento utile per l’organo giudicante da considerare ai fini della sussistenza o meno della capacità a testimoniare, ex art. 246 c.p.c.”, la (danneggiata Omissis) sostiene che la Corte di merito, nel rigettare il primo motivo di appello, non avrebbe considerato che il testimone escusso, al momento della sua deposizione testimoniale, non aveva alcun interesse giuridico, concreto ed attuale all’esito della causa.

12. Con il dodicesimo motivo si deduce “violazione ed erronea applicazione dell’art. 246 c.p.c. (anche in relazione all’art. 360 bis n. 1 c.p.c.) per illegittima conferma dell’annullamento (disposto dalla Corte di Appello di Trieste) dell’ordinanza ammissiva della prova testimoniale (ordinanza riservata G.U. Dott. Morway 30/12/2004)”.

Ad avviso della ricorrente, la Corte di merito avrebbe illegittimamente confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui la stessa ha accolto l’eccezione ex art. 246 c.p.c. formulata ex adverso e ha, conseguentemente, disposto l’annullamento della deposizione testimoniale resa dall’unico teste escusso, teste oculare ed indifferente all’esito della causa, così discostandosi dall’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui é incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da congrua motivazione, immune da vizi logici e giuridici, “l’apprezzamento del giudice del merito in ordine all’inesistenza, da parte del testimone, dell’interesse che potrebbe legittimare la partecipazione dello stesso al giudizio”. Sostiene, inoltre, la (danneggiata Omissis), che “l’ordinanza G.U. Morway 30/12/2004 (ammissiva della prova … e successivamente, illegittimamente annullata con la sentenza” impugnata in questa sede “ben rivestiva tutti i requisiti richiesti della Suprema Corte ai fini dell’attribuzione, alla predetta ordinanza ammissiva della prova) del carattere di incensurabilità in sede di legittimità”, essendo sorretta da congrua motivazione, immune da vizi logici e giuridici. Ribadisce, altresì, la ricorrente che dalla verbalizzazione della deposizione testimoniale in parola non emergerebbe alcun elemento che possa “essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità del precitato teste escusso”, per le medesime ragioni già evidenziate nell’illustrazione dei precedenti.

13. Con il tredicesimo motivo, rubricato “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, ex art. 360 n. 3 c.p.c.”, la ricorrente censura nuovamente la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che “il (teste Omissis) avrebbe potuto partecipare al presente giudizio coltivando, in uno con l’attrice e nei confronti dei medesimi convenuti, le proprie pretese risarcitorie nascenti dalla medesima causa petendi”, sostenendo che il predetto teste non avrebbe potuto partecipare al presente giudizio per far valere sue pretese risarcitorie, essendo già intervenuta, al momento dell’iscrizione a ruolo della causa di primo grado, la prescrizione di ogni suo eventuale diritto risarcitorio.

14. I motivi sopra riportati (dal n. 1 al n. 13), che ben possono essere esaminati congiuntamente in quanto, in modo spesso ripetitivo, denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c. e attengono, prevalentemente, alla sussistenza o meno della capacità a testimoniare del (teste Omissis), sono infondati.

14.1. Va disattesa la censura della ricorrente secondo cui erroneamente la Corte di appello avrebbe accolto l’eccezione delle convenute in ordine all’incapacità a testimoniare del predetto teste, pur in assenza della richiesta di revoca dell’ordinanza ammissiva della prova.

Se é pur vero che questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui, qualora il giudice abbia respinto con ordinanza l’eccezione di incapacità a testimoniare tempestivamente sollevata, essa deve essere nuovamente riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, chiedendo la revoca del provvedimento emesso, in caso contrario, l’eccezione deve intendersi rinunciata e la sentenza di merito non può essere impugnata per carenza di motivazione sul punto, (Cass. 7 febbraio 2003, n. 1840; Cass. 10 aprile 2012, n. 5643), tuttavia, la Corte di merito non si é discostata da tale principio, avendo correttamente e argomentatamente ritenuto che la puntuale deduzione di cui al verbale di udienza del 7 febbraio 2003, riportata testualmente nella sentenza impugnata e con cui le società convenute hanno precisato le loro richieste istruttorie, “sia tale da esplicitare, inequivocamente ed adeguatamente, la permanente e non rinunciata volontà di eccepire la ritualità della testimonianza erroneamente ammessa e di opporsi, conseguentemente e logicamente, a che il contenuto di essa venisse probatoriamente utilizzato (del tutto superflua, in tale ottica, risultando dunque una specifica richiesta di revoca dell’originaria ordinanza di ammissione, concettualmente coessenziale alla così ribadita eccezione)”, in tal modo, in sostanza, ritenendo, del tutto condivisibilmente, che l’eccezione così riproposta sia comprensiva di una, sia pure implicita ma insita, richiesta di revoca dell’ordinanza in parola.

Non può pertanto ritenersi, come pure sembra sostenere la ricorrente, che l’eccezione in parola sia stata rilevata d’ufficio né possono essere esaminate le questioni sollevate per la prima volta in questa sede solo nel punto VI) della memoria ex art. 378 c.p.c. depositata dalla ricorrente e avente valore meramente illustrativo delle questioni già sollevate in ricorso.

Quanto poi alla incapacità del teste (teste Omissis) ritenuta dalla Corte di merito, le censure ad essa relative proposte risultano infondate, avendo la detta Corte correttamente deciso sul punto, conformandosi ai principi espressi al riguardo da questa Corte.

Va anzitutto evidenziato che il giudizio sulla capacità a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c., sull’attendibilità dei testi e sulla rilevanza delle deposizioni involge apprezzamenti di fatto, ed è conseguentemente rimesso al giudice del merito, il quale è tenuto ad indicare in modo congruo e logico le ragioni del proprio convincimento in ordine al contenuto di tali deposizioni e alla qualità di chi le ha rese (Cass. 15 marzo 2004, n. 5232).

Inoltre, questa Corte ha pure affermato che chi è privo della capacità di testimoniare perché titolare di un interesse che ne potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio nel quale deve rendere la testimonianza, in qualsiasi veste, non esclusa quella di interventore adesivo, non riacquista tale capacità per l’intervento di una fattispecie estintiva del diritto quale la transazione o la prescrizione, in quanto l’incapacità a testimoniare deve essere valutata prescindendo da vicende che costituiscono un posterius rispetto alla configurabilità dell’interesse a partecipare al giudizio che la determina, con la conseguenza che la fattispecie estintiva eventualmente opponibile non può impedire la partecipazione al giudizio del titolare del diritto che ne è colpito e non può renderlo carente dell’interesse previsto dall’art. 246 c.p.c. come causa di incapacità a testimoniare (Cass. 1° giugno 1974, n. 1580; Cass. 23 ottobre 2002, n. 14963; Cass. 21 luglio 2004, n. 13585; Cass. 28 luglio 2011, n. 16499).

Con specifico riferimento ad un caso — per molti versi analogo a quello all’esame — in cui più soggetti erano stati coinvolti in un incidente stradale, questa Corte ha affermato che la vittima di un sinistro stradale è incapace ex art. 246 c.p.c. a deporre nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno proposta da altra persona danneggiata in conseguenza del medesimo sinistro, a nulla rilevando né che il testimone abbia dichiarato di rinunciare al risarcimento, né che il relativo credito si sia prescritto (Cass. 28 settembre 2012, n. 16541).

A tali principi — come già sopra osservato — si é correttamente attenuta la Corte di merito con la sentenza impugnata, evidenziandosi pure che, nello svolgimento del processo della sentenza impugnata in questa sede, la predetta Corte ha riportato testualmente la motivazione della decisione del Tribunale da cui risulta (v. p. 4 della sentenza di secondo grado) che il (teste Omissis), trasportato dall’attrice sull’automobile al momento del sinistro, richiese con formali lettere raccomandate, per il tramite del medesimo procuratore dell’attrice, il risarcimento dei danni alla persona alla società assicuratrice parte in causa e tale circostanza non risulta essere stata poi in alcun modo contestata.

Alla luce di quanto sopra argomentato, resta assorbito l’esame delle ulteriori questioni sollevate dalla ricorrente con i motivi all’esame.

Per mera completezza si evidenzia che la capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull’attendibilità del teste, operando le stesse su piani diversi, atteso che l’una, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., dipende dalla presenza in un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), una volta che abbia ritenuto sussistente la capacità a testimoniare del teste o se l’incapacità del teste non sia stata eccepita o sia stata dedotta tardivamente, mentre va sottolineato che, nel caso all’esame, la testimonianza del (teste Omissis) non é stata utilizzata per la ritenuta incapacità a testimoniare dello stesso.

15. Con il quattordicesimo motivo di ricorso si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c. (anche in relazione all’art. 360 bis n. 1 c.p.c.) in relazione al valore attribuito dalla sentenza impugnata al verbale di accertamento (dei) Carabinieri di Miglionico 20/9/1996”.

Deduce la (danneggiata Omissis) che la Corte di appello di Trieste avrebbe erroneamente attribuito valore di prova ‘certa’ e ‘inconfutabile’ al verbale di accertamento redatto dai Carabinieri intervenuti sul luogo dell’incidente successivamente alla verificazione dello stesso laddove, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, i rapporti redatti da pubblici ufficiali sono dotati di efficacia probatoria privilegiata ex art. 2700 c.c. per quanto concerne i fatti materiali che l’autore attesti essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti mentre le altre circostanze riferite nei predetti atti costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice e superabile con prove di qualsiasi tipo.

Nella specie, ad avviso della ricorrente, il rapporto in questione, redatto undici ore dopo il sinistro, avrebbe valore indiziario superabile dalla prova contraria costituita dalla deposizione del teste (teste Omissis) di cui la Corte di merito avrebbe dovuto tener conto, dovendosi ritenere rinunciata, per quanto già rappresentato nei motivi precedenti, l’eccezione di incapacità a testimoniare del detto teste, essendo tale testimonianza precisa, completa, priva di contraddizioni e difettando rapporti del teste con le parti ed un eventuale suo interesse ad un determinato esito della lite.

15.1. Il motivo va disatteso, non facendo la sentenza impugnata, nella sua motivazione (pp. 24-27, v. numerazione in alto di ogni pagina), alcun riferimento al verbale dei Carabinieri cui si riferisce il mezzo all’esame – sicché, richiamando a p. 81 le pp. 9 e 10 della sentenza impugnata (in realtà, p. 14 e 15, risultando sbarrata la numerazione indicata in calce ad ogni pagina e dovendosi far riferimento alla numerazione posta in alto), la ricorrente fa evidentemente espresso riferimento alla motivazione della sentenza di primo grado, meramente riportata nello svolgimento del processo della sentenza impugnata in questa sede – e dovendosi ritenere, per le ragioni già espresse nello scrutinio degli altri motivi proposti, non rinunciata l’eccezione di incapacità a testimoniare sollevata dalle società pure parti in causa.

16. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato

17. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza tra le parti costituite, mentre non vi é luogo a provvedere per dette spese nei confronti dell’intimata, non avendo la stessa svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 luglio 2015.

 

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