In tema di responsabilità civile derivante da attività medico-chirurgica, il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare il contratto ed allegare l’inadempimento del professionista, restando a carico dell’obbligato l’onere di provare l’esatto adempimento, con la conseguenza che la distinzione fra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non vale come criterio di ripartizione dell’onere della prova, ma rileva soltanto ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, spettando, al sanitario la prova della particolare difficoltà della prestazione, in conformità con il principio di generale favor per il creditore danneggiato cui l’ordinamento è informato.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione terza civile – con sentenza n.18307 del 18 settembre 2015
Responsabilità medica e onere della prova: il caso
Con sentenza del 24/1/2012 la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento del gravame interposto in via incidentale da un medico e dalla società Assicurazioni Generali s.p.a., rigettato quello in via principale spiegato da un paziente, e in conseguente riforma della pronunzia del Tribunale di Roma, ha respinto la domanda da quest’ultimo contro i primi proposta di restituzione delle somme pagate a titolo di corrispettivo della prestazione odontoiatrica dal medico espletata nei suoi confronti e di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza dell’asserita erroneità della stessa.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il paziente propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria, rispetto alla quale resistono con separati controricorsi il medico e la società di Assicurazioni Generali s.p.a.
Il primo motivo di ricorso
Con il l° motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1176, 2° co., 2236, 2967 c.c., 342 c.p.c., in riferimento all’art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.; nonché «omessa, insufficiente e contraddittoria» motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360, 1° co. n. 5, c.p.c. Lamenta che erroneamente la corte di merito ha ritenuto non specifici i motivi del suo atto d’appello. Si duole che la corte di merito abbia erroneamente escluso la responsabilità del dentista, pur nell’ipotesi che si sia trattato di intervento routinario, non avendo questi fornito la prova liberatoria.
Perché il primo motivo viene ritenuto fondato.
La Corte di legittimità chiarisce che l’indicazione dei motivi di appello richiesta dall’art. 342 c.p.c. non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi invece soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame sia delle ragioni della doglianza, all’interno della quale i motivi di gravame, dovendo essere idonei a contrastare la motivazione della sentenza impugnata, devono essere più o meno articolati, a seconda della maggiore o minore specificità nel caso concreto di quella motivazione, potendo sostanziarsi pure nelle stesse argomentazioni addotte a suffragio della domanda disattesa dal primo giudice ( v. Cass., 24/8/2007, n. 17960 ).
A tale stregua, deve considerarsi invero integrato in sufficiente grado l’onere di specificità dei motivi di impugnazione, valutato in correlazione con il tenore della motivazione della sentenza impugnata, allorquando alle argomentazioni in essa esposte siano contrapposte quelle
dell’appellante in guisa tale da inficiarne il fondamento logico giuridico, come nel caso in cui lo svolgimento dei motivi sia compiuto in termini incompatibili con la complessiva argomentazione della sentenza, restando in tal caso superfluo l’esame dei singoli passaggi argomentativi ( cfr. Cass., 31/5/2006, n. 12984; Cass., 14/3/2006, n. 5445 Cass., 24/11/2005, n. 24817 ).
Le censure in punto di responsabilità medica.
Quanto al merito, gli Ermellini ricordano che in tema di responsabilità civile derivante da attività medico-chirurgica, in base alla regola di cui all’art. 1218 c.c. il paziente-creditore ha il mero onere di provare il contratto e allegare il relativo inadempimento o inesatto adempimento, e cioè la difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza, non essendo invece tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria, e la relativa gravità (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 24/5/2006, n. 12362; Cass., 21/6/2004, n. 11488. Da ultimo v. Cass., 11/11/2011, n. 23564; Cass., 9/10/2012, n. 17143 ).
Prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi di speciale difficoltà
I giudici di piazza Cavour precisano, al riguardo, che la distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà non può valere come criterio di distribuzione dell’onere della prova, bensì solamente ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa riferibile al sanitario.
La rilevanza dell’articolo 2236 del codice civile.
All’art. 2236 c.c., non va pertanto assegnata – proseguono i giudici di legittimità – rilevanza alcuna ai fini della ripartizione dell’onere probatorio, incombendo in ogni caso al medico dare la prova della particolare difficoltà della prestazione, giacché la norma in questione implica solamente una valutazione della colpa del professionista in relazione alle circostanze del caso concreto (v. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488).
Per gli Ermellini, sarebbe incoerente ed incongruo richiedere al professionista la prova idonea a vincere la presunzione di colpa a suo carico quando trattasi di intervento di facile esecuzione o routinario, e addossare viceversa al paziente l’onere di provare l’inadempimento quando l’intervento è di particolare o speciale difficoltà (in tal senso v. invece Cass., 4/2/1998, n. 1127; Cass., 11/4/1995, n. 4152), e cioè proprio nel caso in cui l’intervento implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, richiedendo notevole abilità e implicando la soluzione di problemi tecnici nuovi o di speciale complessità, con largo margine di rischio in presenza di ipotesi non ancora adeguatamente studiate o sperimentate, ovvero oggetto di sistemi diagnostici, terapeutici e di tecnica chirurgica diversi ed incompatibili tra loro (v. Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 10/5/2000, n. 5945; Cass., 19/5/1999, n. 4852; Cass., 16/11/1988, n. 6220; Cass., 18/6/1975, n. 2439). Ciò in quanto verrebbe altrimenti ad ingiustificatamente gravarsi per il paziente, in contrasto invero con il principio di generale favor per il creditore-danneggiato cui l’ordinamento è informato (cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651).
La ripartizione degli oneri probatori negli interventi “facili” e “difficili”
È allora da superarsi – affermano i giudici di piazza Cavour – sotto il profilo della ripartizione degli oneri probatori, ogni distinzione tra interventi “facili” e “difficili”, in quanto l’allocazione del rischio non può essere rimessa alla maggiore o minore difficoltà della prestazione, l’art. 2236 c.c., dovendo essere inteso come contemplante una regola di mera valutazione della condotta diligente del debitore (v. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488).
L’onere della prova in caso di “insuccesso” incombe sempre sul medico
Per la Corte di legittimità va quindi conseguentemente affermato che in ogni caso di “insuccesso” incombe al medico dare la prova della particolare difficoltà della prestazione (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488).
Spetta in ogni caso (e a fortiori ove trattisi come nella specie di intervento semplice o routinario ) al medico provare che il risultato “anomalo” o anormale rispetto al convenuto esito dell’intervento o della cura, e quindi dello scostamento da una legge di regolarità causale fondata sull’esperienza, dipende da fatto a sé non imputabile, in quanto non ascrivibile alla condotta mantenuta in conformità alla diligenza dovuta, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto ( v. Cass., 9/10/2012, n. 17143 ), bensì ad evento imprevedibile e non superabile con l’adeguata diligenza cfr., Cass., 21/7/2011, n. 15993; Cass., 7/6/2011, n. 12274. E già Cass., 24/5/2006, n. 12362; Cass., 11/11/2005, n. 22894. In altri termini, dare la prova del fatto impeditivo ( v. Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488 ), rimanendo altrimenti soccombente, in applicazione della regola generale ex artt. 1218 e 2697 c.c. di ripartizione dell’onere probatorio fondata sul principio di c.d. vicinanza alla prova o di riferibilità (v. Cass., 9/11/2006, n. 23918; Cass., 21/6/2004, n. 11488; Cass., Sez. Un., 23/5/2001, n. 7027; Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533; Cass., 13/9/2000, n. 12103), o ancor più propriamente (come sottolineato anche in dottrina), sul criterio della maggiore possibilità per il debitore onerato di fornire la prova, in quanto rientrante nella sua sfera di dominio, in misura tanto più marcata quanto più l’esecuzione della prestazione consista nell’applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore, essendo estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del debitore come nel caso specializzato nell’esecuzione di una professione protetta ( cfr., da ultimo, Cass., 20/10/2014, n. 22222).
Come viene ripartito l’onere probatorio tra paziente e medico? Il danneggiato deve solo provare il contratto e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia.
Provati dal paziente danneggiato il contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegato l’inadempimento del debitore astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimane a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, ovvero che esso non sia stato causa del danno. Con la conseguenza che, ove all’esito del giudizio permanga incertezza sull’esistenza del nesso causale fra condotta del medico e danno, questa ricade sul debitore ( v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577, e conformemente, da ultimo, Cass., 12/12/2013, n. 27855 e Cass., 3/9/2014, n. 20547).
Il principio di diritto
In tema di responsabilità civile derivante da attività medico-chirurgica, il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare il contratto ed allegare l’inadempimento del professionista, restando a carico dell’obbligato l’onere di provare l’esatto adempimento, con la conseguenza che la distinzione fra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non vale come criterio di ripartizione dell’onere della prova, ma rileva soltanto ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, spettando, al sanitario la prova della particolare difficoltà della prestazione, in conformità con il principio di generale favor per il creditore danneggiato cui l’ordinamento è informato.
Una breve riflessione
La sentenza in rassegna appare molto interessante non tanto in ordine alla individuazione del riparto dell’onere probatorio in tema di responsabilità medica, quanto invece riguardo alla precisazione che tale riparto non muta a seconda della difficoltà dell’intervento.
In altre parole, la norma contenuta nell’articolo 2236 del codice civile implica solamente una valutazione della colpa del professionista in relazione alle circostanze del caso concreto e non anche un diverso regime dell’onere probatorio.
Dunque, l’intervento, sia esso facile, sia esso difficile, sarà soggetto allo stesso onere probatorio improntato al favor danneggiato, il quale, in definitiva, dovrà solo provare la esistenza del contratto ed il danno subito. Il resto, dovrà provarlo il medico, e ciò, come sopra detto, a prescindere se l’intervento sia stato di facile esecuzione ovvero abbia implicato delle soluzioni tecniche di speciale difficoltà.
Inoltre, dalla sentenza in rassegna si ricava, ancora una volta, che per la Suprema Corte, anche dopo l’entrata in vigore del decreto Balduzzi, quella del medico continua ad essere inquadrata nell’alveo della responsabilità contrattuale.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
managing partner at clouvell (www.clouvell.com)