E’ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale – serie generale – n.107 del giorno 11 maggio 2015, la legge 6 maggio 2015 n.55 intitolata “disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi“.
La nuova normativa entrerà in vigore già il prossimo 26 maggio e si applicherà, in forza di quanto previsto dall’articolo 3, ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data.
Tale disciplina transitoria è di notevole importanza in quanto sono numerosissime le ipotesi di procedimenti di separazione pendenti da più di uno anno, ovvero nei quali, da oltre anno, i coniugi sono comparsi davanti al Presidente. In tutte tale ipotesi i coniugi potranno immediatamente chiedere la pronunzia della cessazione degli effetti civili del matrimonio.
La riduzione del termine
Le novità rilevanti non riguardano solo la riduzione dei termini per poter richiedere il divorzio, ma anche e soprattutto la data in cui diventa efficace lo scioglimento della comunione tra i coniugi.
Riguardo il dato temporale, il vecchio termine di tre anni viene ridotto ad un anno nel caso di separazione personale e di sei mesi nel caso di separazione consensuale. Come dire che il legislatore ha, con tale differenziazione, voluto incentivare, per così dire, il ricorso alla separazione consensuale rispetto a quella contenziosa. Inoltre, l’avere previsto che il termine di sei mesi si applica anche “quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale” dimostra ancora una volta, il favor del legislatore rispetto alla risoluzione bonaria delle controversie in materia di separazione.
L’anticipazione degli effetti dello scioglimento della comunione tra i coniugi.
Ma la novità più rilevante, come sopra anticipato, non riguarda solo l’abbassamento del lasso temporale di “riflessione”, quanto piuttosto l’aver previsto che “Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purche’ omologato”. E che in tali casi “l’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati e’ comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione”.
Tale previsione non ha totalmente stravolto il principio, che rimane codificato nell’articolo 191 del codice civile, secondo cui “la comunione si scioglie per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi, per l’annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, per la separazione personale, per la separazione giudiziale dei beni, per mutamento convenzionale del regime patrimoniale, per il fallimento di uno dei coniugi”, essendo solo stato previsto che “nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purche’ omologato (…)”.
L’aggiunta del secondo comma all’articolo 191 del codice civile, però, farà nascere tutta una serie di problemi soprattutto nelle ipotesi, che si prevede non infrequenti, in cui alla ordinanza di autorizzazione a vivere separati, non venga più coltivato il giudizio.
Ciò comporterà, dal punto di vista procedurale, la estinzione del procedimento, ma frattanto ciascun coniuge ha effettuati acquisti o vendite in regime di “separazione”.
L’estinzione del giudizio che sarà successivamente intervenuta avrà effetto retroattivo, e si chiede, in una simile ipotesi, quale sarà la sorte degli atti compiuti, medio tempore, dai coniugi.
Una breve riflessione
Non vi è dubbio che la nuova normativa risulterà particolarmente utile ed eviterà situazione di sperequazione alle quali si assisteva sotto l’impero della vecchia normativa.
Si verificava, in particolare, che, nonostante la comparizione davanti al Presidente del Tribunale e l’autorizzazione a vivere separati, ciascun coniuge rimaneva, ciononostante, in comunione legale dei beni con l’altro coniuge, nonostante fosse venuta meno ogni forma di convivenza e di affectio.
Ciò portava ciascun coniuge, durante la pendenza del giudizio di separazione, ad essere “prudente” nelle transazioni per evitare di poter far arricchire l’altro.
Con tale nuova previsione normativa, tale inconveniente viene superato anche se, come sopra detto, si porranno dei problemi derivanti dalla successiva estinzione del giudizio.
Tra l’altro, mentre è stata prevista una forma di pubblicità, ai fini dello scioglimento della comunione, della ordinanza di autorizzazione a vivere separati, e ciò nell’interesse dei terzi di buona fede, non è stata prevista una analoga forma di pubblicità della estinzione del giudizio che dovrebbe comportare, dal punto di vista giuridico, la caducazione di quella ordinanza.
Infine, quanto al dato temporale, non possiamo non rilevare come la “fretta” di giungere ad una pronunzia di divorzio contrasti con l’intento del legislatore del 1970 di imporre un tempo minimo di riflessione a ciascuno dei coniugi.
Non si vuole dire che un termine di tre anni fosse eccessivo. Si vuole solo dire, alla luce di tale riduzione dei termini, se abbia ancora senso parlare di separazione e di divorzio, ovvero se sia piuttosto giunto il tempo di unificare le due procedure che, ad avviso di chi scrive, non ha più senso mantenere in vita a fronte delle ridotte e stringenti scansioni temporali.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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